Il dato che segnala come le pre-iscrizioni al liceo classico siano in calo ha suscitato allarme in molti commentatori. Qualcuno ha addirittura visto nel declino del liceo classico un segno inequivocabile del declino del Paese. “Se muore il liceo classico muore il Paese”: questo, ad esempio, il titolo di un articolo pubblicato qualche settimana fa sul “Messaggero” dal matematico Giorgio Israel. Attualmente il 6 per cento degli studenti che si iscrivono al secondo ciclo della scuola secondaria sceglie il liceo classico.  Vent’anni fa la quota era più alta, ma non ha mai superato il 12 per cento. Di fronte a questa riduzione di iscritti, la domanda da porsi sarebbe: era troppo alta allora o è troppo bassa oggi? E ancora: è possibile valutare di quanti giovani capaci di leggere i classici greci e latini in lingua originale ha bisogno il Paese? I laudatores del liceo classico ribadiranno subito che questa domanda è priva di senso: il valore della cultura classica non si misura con metri utilitaristici. Si può ragionevolmente stimare di quanti medici abbia bisogno un Paese, ma di grecisti e di latinisti? E, alla stessa stregua, quanti poeti o quanti filosofi?

In questi termini il problema appare mal posto. Storicamente il liceo classico non ha prodotto solo i custodi della tradizione della cultura classica e umanistica, ma ha svolto la funzione di formare e riprodurre la classe dirigente del Paese. Non è passato molto tempo da quando coloro che ambivano alle professioni più prestigiose (avvocati, magistrati, medici, ingegneri) passavano in grande maggioranza dal liceo classico, come spesso avevano fatto i loro padri e i loro nonni. Era una scuola impegnativa, ma non molto selettiva. La selezione avveniva prima di entrare. Chi non aveva una solida base di cultura prevalentemente ereditata dall’ambiente familiare ripiegava verso percorsi meno prestigiosi.

È appunto questa funzione di riproduzione sociale della classe dirigente che ha incominciato a scricchiolare. Il liceo classico si sta trasformando, anzi si è già largamente trasformato, diventa sempre più una scuola pre-professionale per chi in seguito vorrà indirizzarsi verso l’insegnamento delle materie umanistiche nell’istruzione superiore e nelle scuole secondarie, o per chi troverà una collocazione tra i quadri dell’industria culturale. Per questa funzione la soglia del 6 per cento è probabilmente sufficiente. L’Italia (e forse l’intera Europa) ha una tradizione nella cultura classica che sarebbe insensato non tutelare e coltivare. Per questo è importante che scuole tipo il liceo classico mantengano uno spazio adeguato. Se però si vogliono scuole che diano una solida preparazione per affrontare gli studi superiori e nello stesso tempo promuovano la mobilità sociale valorizzando tutti i talenti e non soltanto quelli che hanno un solido retroterra famigliare, non basta piangere sul declino del liceo classico. Bisogna lavorare sulla qualità, a partire dai professionali, per arrivare, certo, anche ai licei classici.