Due epoche. Dentro Nicosia la green line che divide Cipro dalla diafana "Repubblica settentrionale turca" è costituita da una striscia di edifici abbandonati, recintati e sorvegliati da una missione Onu. Qui la chiamano "la terra di nessuno", definizione più concreta e meno altezzosa di quella usata dagli "esperti". Chi ci vive, sa. Chi viene in missione, si stufa presto e parla la lingua dei burocrati. Agli estremi della no man's land ci sono i punti di controllo greco-cipriota e turco-cipriota. Se sei uno straniero e vieni dalla parte greca, i turchi ti accolgono con un sorriso. Timbrano un visto di 90 giorni e un giovane in divisa che - è evidente - sta studiando le lingue straniere, improvvisa una conversazione. Breve. Gentile. La "società liquida" di Bauman si dissolve dopo pochi attimi. A chi pensava il sociologo polacco, quando individuò la definizione che lo ha reso famoso? A chi parlava? A quanti milioni di "occidentali" su miliardi di abitanti di questo pianeta? Passo vicino a un monumento cui rendono onore le due bandiere, la turca "turca" e quella bianca con la luna e stella rosse "turco-cipriota". Un negativo della prima. Niente ultramodernismo digitale. La fermata del bus per Famagosta, la bellissima città franca circondata da mura veneziane è accanto alla statua di Kemal Ataturk. Quando lo prendo mi accorgo che è un minibus giapponese dei primissimi anni novanta. Con guida a destra, quindi nessun problema, che gli inglesi l'hanno imposta a tutti anche qui. Pochi chilometri e l'idea di Grecia scompare. Poche costruzioni lungo la strada, una grande distesa di prati. I passeggeri sono popolo e classi sociali. Li vedi, ci passi dentro con la mano e capisci perfettamente da dove vengono. I giovani sembrano già adulti. Non c'è neanche un bamboccione in giro. Gli anziani sono un pezzo solo. Ci sono le elezioni domenica. Ogni tanto incrociamo un pulmino con le bandiere verdi del partito democratico, poi le rosse di quello nazionale. Sono elezioni "de facto" per la comunità internazionale, che non riconosce questa parte cipriota come Stato. "De jure", ogni città turco-cipriota ha un sindaco greco-cipriota. Che non si è mai insediato. "De jure", mi dice un turco che ha lavorato per anni nelle basi navali inglesi dell'isola, i turchi sono cittadini europei. Possono andare nella Nicosia cipriota e chiedere un passaporto Eu. Sarebbero accolti con ogni onore. E invece, aggiunge Refik, preferiscono andare a Istanbul in nave e chiedere un visto ai consolati delle ex Potenze protettrici.
Alle porte di Famagosta passiamo di fronte all'Università Mediterranea, che compie 30 anni. Mi sorprendo nel vedere una decina di studenti africani. Che se ne fanno della laurea di un Paese che non esiste? Il capolinea è proprio di fronte a un bastione. Entro nella città. Scarto i le solite botteghe di ricordi e falsi di grandi firme della moda e trovo subito chiese vecchissime. San Giorgio, la Chiesa Armena, la grande Cattedrale gotica di San Nicola - ora moschea di Lala Mustafa Pascia che conquistò la roccaforte nel 1570, il 9 settembre. Mi tolgo le scarpe ed entro. E' decisamente una cattedrale del 1200, ma con il pavimento ricoperto di enormi tappeti verdi. Poche scritte in arabo prese dal Corano alle pareti e l'indicazione della Mecca. Fuori, dieci metri, un leone di San Marco.
Comincio a perdermi, ma mi attende una prova più complessa. Quanto meno a livello intellettuale. Devo affrontare un quartiere completamente abbandonato dal 1974, Varosia in greco, Marash in turco. Si cammina per un po' sul lungo mare, incrocio una caserma e da lontano vedo improvvisamente un edificio altissimo sventrato dalla guerra. Varosia. Il set di un film sulla fine del mondo. I greco-ciprioti che lo abitavano e ci lavoravano (il centro turistico più importante di Cipro unita tanto che gira voce ci sia stata anche BB), hanno lasciato tutto per scappare dall'artiglieria: auto nei garage, letti disfatti, libri, giochi dei bambini, vestiti. La devastazione e il silenzio. Gli edifici sono in un degrado generale. Forse alcuni sarebbero ancora recuperabili, ma quelli che vedo di fronte al mare appaiono più pronti per essere abbattuti, un giorno. Un'altana basta per il controllo diurno qui in spiaggia. Il mare è bellissimo. L'acqua limpida, azzurra. Sotto a un ex albergo l'erba ha riconquistato la sabbia. La spiaggia sta scomparendo. Mi spoglio per un bagno ma continuo a fotografare, nonostante il divieto in cinque lingue. Anzi, proprio mi concentro su quel cartello. Tanto so che dall'altana non possono abbandonare il posto. Ogni tanto arriva una coppia di turisti, si avvicina alla recinzione e guarda al di là. Ma sta poco. Poi torna sui suoi passi. I turchi fanno il bagno, come se niente fosse. E, infatti, non è niente. Solo un Paese piccolo come l'Umbria diviso in due epoche distanti almeno venti anni. E nel mezzo una terra di nessuno che si è fermata al 1974.
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