Hillary, buona la prima. Il primo dei tre dibattiti che accompagneranno la corsa alle elezioni dell’8 novembre arriva in un momento delicato della campagna inaugurata ufficialmente dalle due convention di fine luglio. Dopo aver distaccato il suo rivale Donald Trump di diversi punti percentuali nella media dei sondaggi nazionali, nelle ultime settimane Hillary Clinton ha perso terreno, presentandosi alla vigilia del dibattito con un esiguo vantaggio di poco più di un punto percentuale su base nazionale. Il quadro non cambia nei cosiddetti «swing State» dove i due candidati al momento hanno praticamente le stesse possibilità di prevalere.
Come già nel terzo dibattito del 2008 tra John McCain e Barack Obama, e nel secondo dibattito del 2012 tra quest’ultimo e Mitt Romney, è la Hofstra University di Long Island, New York, a ospitare i due candidati. Inedito è invece il moderatore del dibattito, Lester Holt, storico anchorman della Cbs, cresciuto come giornalista di guerra prima della sua lunga militanza da conduttore delle news in fascia serale e notturna, e fact checker diligente nelle sue interviste a personaggi pubblici. Accusato da Donald Trump di essere un simpatizzante democratico, risulta in realtà registrato tra gli elettori del partito repubblicano.
Secondo le prime stime, la sfida inedita tra il repubblicano che non ha mai ricoperto una carica pubblica e l’ex senatrice democratica e segretario di Stato, è stata seguita da un pubblico record di oltre 100 milioni di americani.
Non è stato un dibattito ricco di colpi di scena e di toni particolarmente aspri, soprattutto nelle battute iniziali, quando Donald Trump ha cercato di presentarsi come il candidato della svolta, senza ricorrere a quegli attacchi personali che hanno caratterizzato la sua corsa alla nomination. Sui temi economici, Trump si è fatto difensore dell’impresa americana piegata dalla delocalizzazione per effetto dagli accordi commerciali Nafta firmati da Bill Clinton, e portavoce del malcontento della classe media per le crescenti imposizioni fiscali del governo federale.
Hillary, dal canto suo, ha cercato di mandare dei messaggi positivi e di fiducia verso il futuro, forte degli ultimi dati positivi sull’occupazione alla fine dei due mandati di Barack Obama. In una tattica molto attendista, ha provato a ridimensionare i punti di forza del candidato repubblicano, indugiando sui lati oscuri della sua ascesa nel mondo immobiliare.
Così, i primi attacchi personali sono arrivati dall’ex segretario di Stato, con riferimento a dipendenti dell’impero di Trump sottopagati o retribuiti con compensi inferiori a quanto pattuito, come l’architetto Andrew Tesoro, presente in sala.
Per provare a difendere la sua reputazione di businessman che ha dato lavoro e ricchezza a migliaia di americani con le sue attività, Donald Trump è caduto nelle provocazioni della sfidante rispondendo con quei toni poco eleganti che l’hanno spesso contraddistinto. Lester Holt ha spostato poi il focus dello scontro sulla storica battaglia di Trump sull’autenticità del certificato di nascita di Barack Obama, ma il candidato ha preferito glissare velocemente per non riaprire un capitolo ormai chiuso su cui si è giocato, in passato, buona parte della sua credibilità politica. In politica estera ha rivendicato la sua opposizione al conflitto Iraq rispetto all’approvazione in Congresso dell’allora senatrice Hillary Clinton, ma di recente è stata riportata all’attenzione un’intervista a Trump di Howard Stern del 2002 che smentisce questa presa di posizione.
Il botta e risposta più duro e spettacolare è scaturito dalle parole di Trump sulla mancanza di stamina (polso, energia, tenacia) della candidata democratica. Clinton ha risposto in maniera eloquente facendo leva sulla sua esperienza politica, con pochi eguali tra i suoi colleghi. Ha menzionato le sue visite ufficiali in 112 Stati del mondo tra negoziati di pace, incontri riservati per la liberazione di oppositori politici e trattati commerciali a vantaggio delle imprese americane, e le undici ore di audizione davanti al Congresso in seguito ai drammatici fatti di Bengasi. Trump non ha colto l’attimo per spostare la discussione sulle responsabilità dell’allora segretario di Stato e dell’amministrazione Obama per quanto riguarda lo scenario libico. Ha risposto impulsivamente parlando di «cattiva esperienza», così Clinton, ha ricordato come il suo avversario l’avesse in realtà accusata di mancanza di «appeal», per riportare all’attenzione del pubblico il repertorio di insulti sessisti del repubblicano che, come menzionato da Clinton, in passato ha paragonato le donne a «cani» e «maiali».
Un altro terreno di scontro si è acceso sul tema delle tensioni sociali tra forze dell’ordine e afroamericani che imperversano in tutto il Paese. Hillary Clinton, forte del suo consenso ormai consolidato nel mondo afroamericano e del difficile rapporto tra ispanici e Donald Trump sull’immigrazione irregolare, ha mandato messaggi forti sulle discriminazioni che penalizzano i neri nel sistema giudiziario americano. Il candidato repubblicano è risultato convincente nella denuncia dell’escalation di omicidi nella Chicago dell’era Obama, ma è stato messo in difficoltà dal conduttore, dopo aver lasciare intendere che gli unici responsabili delle violenze che insanguinano le strade delle metropoli americane siano neri e latinos.
I primi sondaggi sul vincitore del primo dibattito presidenziale sembrano premiare Hillary Clinton, ma la sfida è ancora aperta in vista del secondo appuntamento, il 9 ottobre alla Washington University di San Louis: basti pensare alla rivalsa di Barack Obama, dopo il disastroso dibattito inaugurale contro Mitt Romney di quattro anni fa, all’Università di Denver.
A oggi Hillary Clinton, secondo le proiezioni, ha il 54% di possibilità vittoria su Donald Trump: un mese fa, questa percentuale sfiorava il 75%.
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