Obama e l’Africa. L’elezione di Barak Obama alla Casa Bianca ha suscitato grandi aspettative nell’Africa subsahariana. Le origini kenyane del padre, l’appartenenza al Partito Democratico, le grandi critiche che hanno accompagnato la politica di Bush
hanno spinto alcuni osservatori ad affermare che la nuova amministrazione americana articolerà una innovativa politica per l’Africa, che si tradurrà in maggiori flussi di aiuto e in migliori preferenze commerciali. In realtà, l’ipotesi più probabile è che, almeno nel breve-medio periodo, la crisi economica costringerà Obama a mettere un freno agli aiuti ai paesi africani, che sono invece sensibilmente aumentati durante la presidenza Bush. Questo significa che programmi come quelli della lotta all’Aids potrebbero subire drastici tagli, con tutti i problemi che ciò comporterebbe.
Al di là dell’entità degli aiuti, la lotta al terrorismo e l’accesso alle risorse petrolifere sembrano destinati a rimanere, come per Bush, i capisaldi della politica di Obama verso l’Africa. Hillary Clinton ha affermato che in cima alle priorità della nuova amministrazione sarà la lotta al terrorismo e il rafforzamento delle strutture e dei programmi di AfriCom, il comando militare creato nel 2007 per coordinare la politica di sicurezza Usa in Africa. In questo contesto, Hillary Clinton ha assicurato la volontà Usa di contribuire a risolvere alcuni dei più gravi conflitti in atto, in particolare quelli del Darfur e della Somalia. Mentre nel primo caso sarà necessario per Obama tessere un dialogo con la Cina, nel secondo bisognerà vedere quali carte l’amministrazione americana saprà mettere sul tavolo dei negoziati dopo la fallimentare politica perseguita nell’ultimo decennio. La questione della sicurezza in Africa si complica quando si considera non solo che Cina e Unione Europea perseguono priorità politiche spesso in contrasto con quelle americane, ma anche che la lotta al terrorismo ha portato in alcuni casi gli Usa anche a sostenere regimi autoritari dai piedi di argilla. L’Ue, intenta a ridimensionare il peso dei legami neocoloniali che per quattro decenni hanno condizionato le sue relazioni con l’Africa, sta promuovendo un approccio multilaterale al mantenimento della sicurezza, contribuendo finanziariamente alle operazioni di pace dell’Unione Africana in Darfur e Somalia. Tra Cina e Usa è invece in atto una dura competizione per l’accesso alle risorse petrolifere africane, in cui aiuti finanziari e sostegno diplomatico vengono forniti ai regimi africani senza preoccuparsi del rispetto dei diritti umani. La nuova amministrazione americana confermerà la politica bilaterale perseguita da Bush o sarà in grado di promuovere una partnership più globale per la sicurezza nel continente in grado di sostenere anche il radicamento di forme democratiche di governo?
Rimane infine da vedere quale sarà il contenuto che assumerà la vera novità annunciata da Obama durante la campagna elettorale, la creazione della “Add Value to Agriculture Initiative”. I processi di trasformazione dell’agricoltura in atto nel continente avranno nei prossimi decenni un impatto cruciale sulle possibilità di impiego e di sopravvivenza di milioni di africani. Gli espropri di terra su larga scala attuati dai governi per incentivare la coltivazione di biocarburanti e l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari pongono con urgenza il problema della sopravvivenza dei poveri urbani e dell’occupazione delle migliaia di contadini destinati a perdere la proprietà della terra. Una iniziativa internazionale sulla questione agraria in Africa è quanto mai urgente. I programmi finanziati all’interno di questa iniziativa prefigureranno un più ampio interesse americano ad affrontare in maniera innovativa i problemi dello sviluppo economico in Africa?
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