La recessione russa. Aveva conquistato l’ammirazione e il consenso del suo popolo per aver garantito stabilità e crescita economica. Era anche riuscito a risollevare l’orgoglio nazionale dal pozzo profondo in cui si era inabissato. Eppure Vladmir Putin, l’incarnazione dell’uomo forte dalla mano risoluta, figura perennemente corteggiata dall’inconscio collettivo della Russia, ha dovuto arrendersi di fronte ai ricorsi storici.

Come i primi vagiti della modernizzazione si erano infranti di fronte alla catastrofe finanziaria dell’agosto 1998, altrettanto è accaduto a distanza di dieci anni. Il costante aumento del prezzo della materie prime, miscelato agli istinti consumistici primordiali di una popolazione vessata dalle privazioni del regime sovietico, aveva acceso la miccia dello sviluppo economico. Senza segnali apparenti il circolo virtuoso si è improvvisamente inceppato. L’8 agosto, in coincidenza con la manifestazione di apertura delle Olimpiadi di Pechino, si apriva il conflitto armato nel Caucaso tra Georgia e Russia.

Quel momento ha segnato l’inversione di tendenza: la stabilità ha lasciato il passo all’incidere della crisi economica e sociale. Tutti gli spettri degli anni Novanta si sono riaffacciati alle porte del Cremlino: fuga dei capitali, svalutazione del rublo, disoccupazione galoppante, crollo della produzione industriale, calo del prezzo del petrolio, redditi pro capite a picco e credito bancario ridotto ai minimi termini. Soprattutto è riapparsa, minacciosa e incombente, l’incertezza sul futuro. Il presidente e il capo del governo hanno puntato il dito contro gli Stati Uniti per spiegare le difficoltà. Hanno avuto buon gioco. I mezzi di comunicazione di massa sono ben imbrigliati e del resto, gli Stati Uniti restano il nemico numero uno nella risorgente retorica neo patriottica, ricca di venature vetero sovietiche.

L’8 agosto si apriva il conflitto armato nel Caucaso tra Georgia e Russia. Quel momento ha segnato l’inversione di tendenza: la stabilità ha lasciato il passo all’incidere della crisi economica e sociale
Il consenso nei confronti dell’attuale dirigenza non sembra in pericolo. L’attuale potere russo ha saputo reggere l’impatto della nuova crisi in modo più sapiente e accorto di quanto accadde esattamente dieci anni orsono. Spazi politici per qualsivoglia reale opposizione, desiderosa di raccogliere il potenziale malcontento, erano stati già preventivamente sigillati, negli anni precedenti, con metodi autoritari e maniere sbrigative.

La maggioranza dei russi, dopo quanto accaduto negli anni Novanta, è quasi automaticamente soggetta ad associare al termine democrazia quelli di malversazione, corruzione diffusa, prevaricazione, assenza di leggi e regole. Sarà difficile fargli cambiare opinione in breve tempo.