Agente straniero. Dopo l’approvazione da parte della Duma di Stato a schiacciante maggioranza, avvenuta il 13 luglio scorso, il 21 novembre è entrata in vigore in Russia la «legge federale volta a disciplinare le attività delle organizzazioni non-profit che ricevono denaro e altri beni da fonti estere». La norma è nota come «legge sugli agenti stranieri», in quanto costringe tutte le organizzazioni non governative russe che ricevono sovvenzioni dall’estero a registrarsi presso l’amministrazione pubblica come «agente straniero»; queste avranno l’obbligo di riferire sulle loro attività, sulla composizione dei propri organi di governo e dovranno poi accompagnare tutti i materiali resi pubblici, anche attraverso Internet, con l’indicazione: «Inostrannij Agent».

Molti attivisti per i diritti umani hanno manifestato apertamente l’intenzione di ignorare la legge e di non registrare le Ong. Oleg Orlov, storico dissidente sovietico e membro influente di Memorial di Mosca, ha dichiarato che la norma è assurda, ridicola e anticostituzionale, in quanto limita la libertà di associazione ed espressione. Le sovvenzioni, anche estere – ha aggiunto – sono del tutto legali e da sempre denunciate in modo trasparente al ministero competente. Lev Ponomariov, del movimento Per i diritti dell’uomo, ha annunciato una campagna di disobbedienza civile e il ricorso alla Corte costituzionale russa e a quella europea per i diritti umani. Anche il Gruppo Helsinki di Mosca ha dichiarato che non si registrerà.

Le «contromisure» per arginare la protesta, però, sono già in atto. Memorial è stato oggetto di due atti intimidatori nel giro di pochi giorni. Nella notte del 21 novembre ignoti hanno imbrattato con della vernice bianca i muri della sede di Mosca: «L’agente straniero loves Usa». Quindi è stato incollato un grande adesivo sotto la targa dell’associazione con la scritta «Inostrannij Agent». L’azione è stata ripetuta il 28 novembre. Il ministero della Giustizia, da parte sua, ha minacciato provvedimenti contro le Ong che non adempiranno agli obblighi imposti dalla nuova legge, provvedimenti che prevedono la sospensione della loro attività e, nel caso di reiterazione del rifiuto, la denuncia.

La stretta contro le attività delle organizzazioni non governative che si occupano di diritti umani arriva dopo una serie di tentativi già messi in opera in passato allo scopo di ostacolarne il lavoro. Solo durante gli ultimi due anni della presidenza Medvedev la situazione sembrò prendere un crinale positivo, tanto che in occasione della giornata del prigioniero politico, il 30 ottobre di due anni fa, l’allora presidente della Federazione russa diffuse un comunicato nel quale incoraggiava Memorial e gli altri centri di ricerca indipendenti a continuare il proprio lavoro per il bene del Paese, condannando nel contempo gli anni tragici dello stalinismo. Da quando Putin è tornato al Cremlino, però, le cose sono decisamente cambiate. Inasprite le pene per quanti partecipano a manifestazioni non autorizzate, la legge sugli «agenti stranieri» richiama in modo sinistro la campagna del 1937 contro i nemici del popolo e le spie, che aprì la strada al biennio del Grande terrore.

Irina Flige, una delle più note attiviste di Memorial, presidente della sezione di San Pietroburgo, grande esperta di quegli anni, ha svolto un’analisi molto interessante sulla situazione, in una recentissima intervista apparsa sul sito cogita.ru. Secondo la studiosa, la legge «non aggiunge nulla di nuovo a quanto già non fosse noto sul regime in cui viviamo e sulle vicende cominciate nel settembre del 2011 [riferimento al 24 settembre, quando Putin annunciò la propria scesa in campo, N.d.R.] e conclusesi con la rielezione di Putin». Più che di una legge, ha aggiunto, si tratta di una dichiarazione di guerra: «adesso vi schiacceremo tutti». Ma in questo modo la dialettica tra società e potere entra in crisi: «Da una parte la società ha legittimato la Duma e il presidente attraverso le elezioni. Ora, con questo atto, le istituzioni si delegittimano da sole». Al di là della contingenza, la domanda da porsi, secondo Flige, è la seguente: viste nel contesto della storia russa, «quali nuove informazioni ci dà l’ultimo paranoico atto della Duma? A questo ho pensato mentre leggevo e ricopiavo, su richiesta dei parenti, gli atti di accusa contro normali cittadini nel 1937. A lungo ho creduto che tali atti non contenessero alcuna informazione. Nessun riferimento biografico, nessun riferimento alla famiglia, niente di niente, zero assoluto [...]. Gli interrogatori finivano sempre con la stessa dichiarazione dell’accusato: di essere un cittadino leale e di amare il compagno Stalin». Poi, improvvisamente, afferma la studiosa, ha compreso che, in realtà, quei documenti dicevano molto, moltissimo. Che gli imputati si sentivano davvero cittadini leali e rispettosi della legge, mentre era lo Stato, accusandoli di qualcosa che non avevano commesso (come essere spie di ostili potenze straniere), a sentirsi illegale, a doversi difendere con accuse false contro cittadini inermi e rispettosi della legge per reiterare il proprio potere.

La stessa cosa accadrebbe oggi. Dopo la sua discesa in campo, Putin ha visto montare la protesta da parte della società civile; le imponenti manifestazionisi svoltesi a Mosca e in altre città sono finite spesso con la repressione. Poi è stata eletta la Duma, il 4 dicembre 2011, e quindi Putin presidente, il 4 marzo 2012. Ma come? Attraverso il controllo dei mezzi di comunicazione, l’emarginazione dell’opposizione e una legge elettorale che ha impedito la candidatura di molti rappresentanti della società civile. La norma sugli «agenti stranieri» non fa altro che confermare, conclude Flige «ciò che già sapevamo. Viviamo in un Paese dove il potere è illegittimo e come tale è costretto ad agire».