Nella maggior parte dei Paesi occidentali in questi ultimi anni si è verificato un calo preoccupante delle vaccinazioni infantili, che ha portato in alcuni casi al riemergere di malattie che sembravano pressoché debellate o la cui incidenza era stata fortemente ridotta. Sulla base di dati allarmanti, negli Stati Uniti ne è derivato un ampio dibattito, ora divampato anche in Europa, i cui termini e le cui ragioni sono ben documentati nell’articolo di Sofia Francescutto sull’ultimo numero del «Mulino».
Anche in Italia, nel biennio scorso, si è registrato un calo delle vaccinazioni fonte di motivata preoccupazione, cui si aggiunge un ulteriore elemento di sconforto, dato dal tono del dibattito pubblico. Il nuovo Piano nazionale per la prevenzione vaccinale 2016-18 ha scatenato allarmismi e accese reazioni all’ipotesi di pesanti sanzioni sia per i medici che sconsigliano o non incoraggiano le vaccinazioni, sia per i bambini non vaccinati, per i quali si è parlato insistentemente di esclusione dalla scuola e dagli asili. Allarmismi non ingiustificati, dal momento che illustri luminari e rappresentanti delle istituzioni si erano affrettati a dare il proprio avallo a entrambe le misure, salvo poi essere sconfessati dalla ministra Lorenzin, che ha negato che il Piano (almeno per ora) possa prevedere nulla del genere.
Di fronte a questo inutile polverone sulle sanzioni, diverse cose lasciano sgomenti. La prima è, ovviamente, che ancora adesso non è chiaro se ci fosse qualcosa di cui discutere. La seconda è la confusione estrema sui termini della questione. Tanto per fare un esempio: ci si è accalorati a difendere il divieto di entrare in classe per i bambini che non sono in regola con le vaccinazioni obbligatorie, ma la preoccupazione maggiore riguarda vaccini che non sono obbligatori per legge, ma sono solo raccomandati, come quello contro il morbillo. La terza è la sconsideratezza e l’istinto sanzionatorio con cui in molti hanno avvalorato l’ipotesi dell’esclusione dei bambini non vaccinati da scuola come una buona idea. È dubbio che nelle circostanze attuali una misura del genere sia richiesta per ragioni di emergenza sanitaria o che possa essere efficace (la Francia ha adottato da tempo questi mezzi ma naviga nelle nostre stesse acque), mentre dovrebbe risultare evidente che le sue conseguenze possono essere estremamente deleterie sia per i bambini sia per la civiltà e il tono del dibattito generale. La via coercitiva, soprattutto se a danno dei bambini, non dovrebbe essere presa in considerazione con tanta leggerezza.
D’altra parte, occorre guardarsi anche da una reazione opposta, cioè l’idea che l’astensione dalle vaccinazioni possa essere combattuta attraverso una “maggiore informazione” e una “responsabilizzazione” dei singoli. Certo, sgombrare il campo dalle bufale, teorie complottistiche e superstizioni che alimentano il fronte anti-vaccino è sicuramente utile. Ma puntare tutto sull’informazione è fuori luogo.
Per due ragioni fondamentali.
La prima è che si tratta di un modo sbagliato di rappresentare il rapporto fra lo Stato e i singoli su questi temi. I singoli cittadini non possono essere tenuti ad assumere tutte le informazioni necessarie a stabilire per ogni trattamento, ogni profilassi, ogni cura esistente e disponibile sul mercato se valga la pena di essere adottato o meno. È lo Stato che deve fornire indicazioni autorevoli sulla base delle migliori conoscenze disponibili, predisponendo poi anche i mezzi operativi per seguirle. Un buon sistema della sanità pubblica dovrebbe servire anche e soprattutto a questo: a sgravare i cittadini dai costi, dai rischi e dalla responsabilità individuale in materia di salute e di igiene. Le raccomandazioni delle autorità in materia di vaccinazione non sono “consigli per gli acquisti”, quanto invece la presa in carico da parte dello Stato della valutazione dei dati scientifici disponibili, dei costi della vaccinazione, del coordinamento sociale e anche della responsabilità rispetto ai rischi di eventuali ricadute negative.
Quando lo Stato rende obbligatorio o raccomandato un vaccino, per fare un esempio, si assume anche l’impegno a indennizzare coloro che dovessero essere danneggiati dall’inoculazione. L’idea che i singoli siano chiamati a farsi imprenditori della propria salute, barcamenandosi da soli nel mare magnum (e nel mercato) delle cure mediche e della letteratura scientifica, e addossandosene tutti i rischi, è in realtà fra le cause della rottura del sistema di coordinamento sociale in materia di sanità pubblica che è necessario per il buon funzionamento dei piani vaccinali.
La seconda ragione per cui l’idea che la soluzione vincente stia semplicemente nella maggiore informazione è fuorviante è che nessuna quantità di informazione proveniente dalle istituzioni può essere efficace se non è percepita dai cittadini come affidabile. L’elemento della fiducia è centrale nelle analisi più recenti dei fallimenti dei piani vaccinali nazionali. Uno studio francese del 2014, ad esempio, ha messo in luce la correlazione fra il calo drastico dell’indice di fiducia nella vaccinazione, passata in Francia dal 90% del 2005 al 60% del 2010, e l’affaire del vaccino antinfluenzale H1N1. La brutta vicenda, in Francia come altrove, ha fatto nascere e alimentato teorie complottistiche di ogni sorta. Ma per la maggior parte dei cittadini, che non si è preoccupata di elaborare una teoria in merito, quella vicenda è stata semplicemente un duro colpo inferto alla fiducia nelle istituzioni. Studi analoghi hanno evidenziato come il calo di fiducia nelle istituzioni sia determinante anche per l’atteggiamento dei medici nei confronti delle vaccinazioni.
Come recuperare la fiducia di cui le istituzioni devono godere per poter svolgere il loro ruolo in questo ambito (come in molti altri)? Le indicazioni fondamentali sembrano essere due. La prima è la trasparenza. I cittadini non possono assumersi in prima persona il compito e la responsabilità di prendere decisioni in materia di sanità pubblica, ma devono avere la percezione di poter facilmente appurare, se lo vogliono, come e su quali basi vengano prese tali decisioni. La seconda indicazione riguarda il controllo. I cittadini devono avere la percezione che le istituzioni siano in grado di avere un effettivo controllo sul proprio operato. Nel caso francese, una delle fonti di scetticismo e diffidenza da parte del pubblico è stata l’improvvisa indisponibilità del vaccino trivalente per difterite, tetano e pertosse, alla quale le autorità hanno poi rimediato somministrando un vaccino quadrivalente cinque volte più caro dell’originale. Casi come questo – oltre alle solite teorie del complotto – creano l’impressione che le istituzioni siano alla mercé del mercato farmaceutico e quindi non siano in grado di controllare l’effettiva implementazione di decisioni così importanti in materia di salute.
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