La maggior parte dei commentatori, italiani e stranieri, sta celebrando il miracolo di un Paese che, improvvisamente, pare uscito dal torpore televisivo nel quale era immerso. Un Paese che, ridestatosi, si preparerebbe a relegare un indebolito Silvio Berlusconi nel dimenticatoio della storia. In breve, in Italia sarebbe in corso una di quelle svolte di cui la storia italiana trabocca, un nuovo episodio della versatilità per cui è noto il suo popolo. Non si tratta che di cliché, nient’altro che di cliché che fanno pensare ad altre idee preconfezionate assai diffuse, secondo cui gli italiani, tutti fascisti, nell’estate del 1943 decisero tutti da un giorno all’altro di passare dall’altra parte. In effetti, viene da pensare che un miracolo si sia repentinamente prodotto, se si considera che l’Italia dal 1994 è diventata un regime, una telecrazia che stabilisce un totalitarismo sottile, una tirannia della maggioranza, e che Berlusconi rappresenta alla perfezione lo stato d’animo immutevole degli italiani: poco istruiti, senza senso civico, ottenebrati dalla televisione, preoccupati unicamente di soddisfare i propri interessi e quelli delle loro famiglie. A dispetto delle due sconfitte subite da Berlusconi, sino a pochissimo tempo fa siffatte analisi erano molto diffuse, tanto diffuse da alimentare la favola di una maledizione strutturale della democrazia italiana.
Al contrario, per chi ha sempre valutato la situazione italiana come caratterizzata da tendenze contraddittorie e antagoniste che minavano la sua democrazia il ragionamento è completamente diverso. L’Italia vive mutamenti molto contrastati. Da una parte, per ricorrere alla formula adottata da Bernard Manin, vi è l’ascesa al potere della “democrazia del pubblico”, incarnata da Silvio Berlusconi con la presidenzializzazione, la personalizzazione e la mediatizzazione a oltranza della vita pubblica, e, in più, con il suo conflitto di interessi. Dall’altra parte, vi è poi l’affermazione di comportamenti e sentimenti antipolitici, che fustigano la classe politica nel suo insieme e provocano un progressivo allontanamento dalla cosa pubblica. Ma vanno registrati anche i tentativi di aggiornamento delle istituzioni della democrazia liberale e rappresentativa, che ben illustrano il ruolo sempre più centrale, importante e legittimato del presidente della Repubblica e la popolarità di cui gode, o, ancora, la progressiva diffusione delle primarie del Pd e del centrosinistra. Infine, la gestazione che freme e ribolle, pur nella sua incertezza, di una democrazia partecipativa, con un grande coinvolgimento dei giovani che utilizzano tutte le risorse del web.
L’insieme di questi elementi dà forma a una configurazione dinamica, secondo l’espressione di Norbert Elias, di cui, in questo momento, la dislocazione interna, per diverse ragioni fattuali – il deterioramento della situazione economica e sociale, l’usura di Berlusconi e gli errori a ripetizione di cui è stato protagonista – si modifica notevolmente. Ciò non significa che il berlusconismo sia concluso, ma che si è aperta una nuova fase. Senza sapere ancora, tuttavia, quale di queste tendenze prevarrà e chi nel sistema politico, nel senso classico del termine, sarà in grado di conquistare le prossime scadenze elettorali.
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