L’Italia sta crollando, e Lui da solo non ce la fa a rimetterla in sesto. Questo è il grido di dolore lanciato dal Beppe Grillo in pieno caso Adele Gambaro, rea d’aver comunicato ai media «analisi politiche» critiche verso il Capo. Di conseguenza, il Beppe Grillo si sente ancor di più addosso il fardello d’un Paese intero. Per quanto io sia io, ci dice e ci esorta, voi non potete credere che, «con l’aiuto di una srl e di un pugno di ragazzi in Parlamento, possa combattere da solo». A questo punto fa l’elenco dei tanti nemici, e del molto onore: «partitocrazia, massoneria, sistema bancario, Bce, criminalità organizzata e tutti i media». Per non parlare di quel che guadagnano il Fabio Fazio, la Bianca Berlinguer e il Giovanni Floris.
Ma il suo rammarico più addolorato è rivolto a una parte dei suoi, alla Gambaro in primo luogo. Il Capo ha rinunciato a spettacoli e guadagni per salvare l’Italia, e la senatrice che cosa gli combina? Dice la sua non solo sul movimento, ma addirittura su di Lui. «È una cosa incredibile», ci vorrebbe un po’ di riconoscenza. Che cosa aspetta ad andarsene «fuori dalle balle», la fedifraga? E nemmeno è sola. Si mormora che, pochi o tanti, altri cinquestellini siano in sofferenza. Qualcuno di loro arriva persino a sospettare che il Silvio Berlusconi sia ancora lì a dettar condizioni anche per colpa o per merito – secondo i punti di vista – del Beppe Grillo.
Non c’è dubbio. Bisogna procedere speditamente e semplicemente, come più di cinque secoli fa raccomandavano i Santi Inquisitori Heinrich Krämer e Jakob Sprenger alle prese con eretici e streghe (gli interessati possono leggere Il martello delle streghe, edito da Marsilio). A disposizione non ci sono più – o non ci sono ancora – tenaglie infuocate e roghi, ma si può ovviare. Come arnese di tortura si può utilizzare l’assemblea degli eletti, e come strumento di esecuzione il fuoco del web, alias democrazia diretta. Che sia diretta pare accertato, e si sa anche da chi. In ogni caso, parola di salvatore della patria, l’essenziale è stanarli. Si deve annusarli e braccarli ovunque si nascondano, e poi cavarli fuori dai loro buchi, quei vermi e parassiti che si sono innestati subdolamente nel corpo politico del Bene. E allora, giusto per cominciare, twitta il Capo, «Gambaro a giudizio».
Già che ci siamo, diciamocela tutta. Sarebbero mai riuscite a entrare in Parlamento da sole, quelle nullità? Il primo a riconoscerlo è il Vito Crimi, che se ne intende: «Se noi siamo stati eletti, lo dobbiamo a Beppe Grillo». Lo segue a ruota la stessa Gambaro, che nella foga di difendersi dice che Lui «rappresenta milioni di italiani», per quanto, a norma di Costituzione, i nostri rappresentanti siano gli eletti, non i portavoce. In ogni caso, il Beppe Grillo conferma che di nullità si tratti: «Ragazzi, mi sono rotto. Mi viene voglia di mollare. Alcuni erano niente, sono entrati in Parlamento, ora mi attaccano». Qui le notizie sono due. La prima è che in Parlamento il movimento ha mandato gente che non era niente, né più né meno di quel che fa la partitocrazia. La seconda è che, chiudendo baracca e burattini, il burattinaio può rimandarli tutti nel niente da dove li ha pescati.
Insomma, fuori dalle balle Gambaro & congiurati. Se poi i gruppi parlamentari non eseguono? «Non c’è problema. Se decidono diversamente, prendo il simbolo e me ne vado». A noi sembra di vederlo bene, il Beppe Grillo che se ne va, solo contro tutti. Lo abbiamo già visto fare in un film di Mario Monicelli da un suo quasi omonimo, e con un lessico simile al suo. Nella Roma di inizio Ottocento, papalina e reazionaria come quella di oggi, così il marchese Onofrio del Grillo prende congedo da popolani e nullità: «Mi dispiace, ma io so’ io… e voi non siete un cazzo».
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