Siamo tutti convinti che dalla qualità della nostra scuola dipenda il futuro del Paese. Il problema è riuscire a tradurre quei valori in provvedimenti legislativi e amministrativi adeguati, tenendo anche conto della migliore esperienza altrui.

La questione è riemersa in questi giorni, con le polemiche - spesso eccessive - sulla giusta decisione del governo di riaprire una stagione meritocratica basata su due principi: concorso pubblico per diventare insegnante; successiva costante valutazione dell’attività di ciascun insegnante.

Due riflessioni generali sembrano ancora utili: siamo tutti d’accordo sul significato di “meritocrazia”? Abbiamo cercato di comprendere come procedono i Paesi europei che in proposito sono da tutti considerati un modello?

Durante la cerimonia inaugurale delle Olimpiadi di Londra, abbiamo potuto ripassare il contributo che la Gran Bretagna ha dato alla civiltà del mondo intero, almeno a partire dal Settecento: dalla rivoluzione industriale e da Adam Smith. E l’abbiamo visto fare con tutta l’ironia e il senso dell’umorismo tipicamente inglesi. Ma gli inglesi sono bravi perché sono meritocratici o apprezzano il merito perché sono bravi? La risposta la si può trovare se si rilegge un libro famoso (e in Italia pressoché introvabile), The rise of the meritocracy che Lord Young of Dartington, allora solo Michael Young, scrisse nel 1958. È Young l’inventore della parola “meritocrazia”, in un saggio che merita di essere riletto in questi giorni, perché è una satira di come l’Inghilterra potrà essere nel 2034, se mai diventasse un Paese che in ogni cosa premia il merito e sceglie il meglio. Anche noi potremmo imparare qualcosa da questa bellissima opera di sociologia applicata? Penso proprio di sì, perché anche da noi ogni tanto parliamo di “meritocrazia”, ma lo facciamo spesso senza neppure sapere di che cosa stiamo parlando.

Almeno una volta ogni cinque anni, in Italia assistiamo a un bel dibattito sul “merito” e sui diritti dei “capaci e meritevoli”, di cui parla la nostra Costituzione; e poi lasciamo perdere. Fino alla volta successiva, quando di nuovo gli entusiasti e i detrattori del merito, avranno la possibilità di confrontare le opposte preferenze, essendo chiaro a tutti che nessun risultato è davvero voluto. Né i governi tecnici né tanto meno i governi politici sono interessati a chiarire in primo luogo le anomalie del nostro sistema scolastico al confronto con le migliori realtà europee; e, a seguire, il programma per correggere i nostri maggiori difetti. Preferiamo continuare come siamo, anche se questo sistema è inefficiente, iniquo, costoso.

Provo ad esemplificare tre aspetti tipici dei migliori sistemi educativi europei (cioè dei Paesi del Nord Europa, che tutti considerano buoni modelli). Quando fra cinque anni faremo di nuovo un bel dibattito sul merito, propongo che si incominci a discutere di queste cose, che sono poi le fondazioni di qualunque sistema educativo che valga la pena di essere emulato.

1) Si valorizzano i talenti di ciascuno. Non ci sono due giovani identici quanto a talenti, interessi, progetti di vita. E quindi non esiste il “primo della classe” né tanto meno il “primo della scuola”; ma ciascuno studente sarà valutato in ciascuna disciplina: abbandonerà le discipline dove è minore l’interesse e la valutazione è inferiore; avanzando di più nelle discipline dove l’interesse e la valutazione sono maggiori. È chiaro che lo scopo non è selezionare i migliori, ma favorire il miglioramento di tutti, nessuno escluso!

2) L’esame di ammissione al successivo ciclo di studi sarà sempre scritto, valutato in modo anonimo, da una commissione nazionale. I voti saranno perciò indipendenti dai cognomi dei genitori. E si potrà vedere quanto valgono le singole scuole (non potendo succedere, come da noi, che i bei voti li diano le scuole peggiori!). Ricordo che il primo governo Blair chiuse una quarantina di scuole medie: quelle i cui studenti erano stati tutti bocciati.

In giro per il mondo, è considerato equo valutare bene i docenti: sono i professori scadenti i primi responsabili di tanta iniquità della scuola.

3) Particolare non trascurabile: l’intera classe deve sempre essere giudicata assieme. Altrimenti, non è possibile valutare media e varianza della distribuzione dei voti, e quindi definire sia la squadra nel suo insieme sia (in modo ordinale) i singoli giocatori. Peccato che nell’università italiana – al contrario di ciò che succede in tutto il mondo – ciò non sia possibile: da noi, gli studenti fanno gli esami quando vogliono e non tutti assieme nella terza settimana di giugno, come succede sia ad Oxford sia in Tanzania.

Prima o poi, anche noi saremo costretti a fare qualcosa di serio per la nostra scuola; andando a vedere come funzionano i buoni ordinamenti scolastici tipici dei Paesi dell’Europa del Nord e le riforme che si fanno con governi laburisti come quello di Blair degli anni Novanta o con il centrodestra oggi al governo in Svezia. C’è sempre da imparare sia dagli uni sia dagli altri, evitando nel frattempo di perdere tempo in riforme inutili.