Eusébio, un mito di quale nazione? Considerato uno dei più grandi calciatori di tutti i tempi, è scomparso il 5 gennaio Eusébio da Silva Ferreira. Noto semplicemente come Eusébio, arrivò alla fama mondiale grazie ai successi internazionali con il Benfica, squadra di Lisbona, e con la nazionale portoghese, che portò a suon di goal al terzo posto ai Mondiali del 1966. Quale leggenda senza tempo del calcio portoghese ed eroe di quella nazionale gloriosa, è considerato un simbolo della nazione portoghese stessa, che difatti si è raccolta compatta attorno alle celebrazioni in onore del calciatore scomparso. Il governo portoghese ha decretato tre giorni di lutto nazionale. Ma Eusébio era africano, più precisamente mozambicano.
Non era figlio di immigrati, non era nato in Portogallo. Non era insomma quello che sarebbero stati Zidane e tanti altri per la Francia anni dopo, ad esempio. Era nato e cresciuto a Lourenço Marques (oggi Maputo), capitale del Mozambico, allora colonia portoghese. Dopo aver giocato nello Sporting Lourenço Marques, viene ingaggiato dal Benfica in Portogallo nel 1960. Politicamente non è un anno qualsiasi. È il cosiddetto “anno dell’Africa”, quando sedici Paesi africani divengono indipendenti, seguiti a ruota da tanti altri negli anni immediatamente successivi. Il Portogallo invece ha fatto della tenuta dell'impero coloniale un pilastro del regime salazarista dell’Estado Novo. Anzi, il governo portoghese decide di trasformare le colonie formalmente in “Province d’oltremare”, così che anche gli africani “assimilati” potevano essere considerati cittadini portoghesi a (quasi) pieno titolo. Inizia così per Eusébio la sua vita portoghese, nella “seconda patria”, come egli stesso la chiamava, mentre in Mozambico veniva lanciata dal Frelimo la guerra armata per l’indipendenza da Lisbona. Si dice che il suo passaggio a un club calcistico italiano nel 1964 sia stato impedito da Salazar stesso, che dichiarò il calciatore “tesoro nazionale”. Tra mito e realtà, si dice anche che le ostilità tra l'esercito portoghese e i guerriglieri del Frelimo venissero sospese in occasione dei match mondiali del Portogallo quando vi giocavano Eusébio e altri mozambicani o angolani. Di sicuro, Oscar Monteiro, parte della leadership del movimento di liberazione e futuro ministro nel Mozambico indipendente, riporta in un libro il suo piccolo smarrimento nel vedere dei suoi compagni di lotta tifare per il Portogallo ai Mondiali di calcio del ’66 nello stesso momento in cui stavano tentando, in armi, di far ammainare la bandiera portoghese a Lourenço Marques.
Mentre Eusébio diveniva una colonna del Portogallo calcistico e della nazione portoghese, i suoi compatrioti africani in Mozambico continuavano a subire la repressione di un regime coloniale particolarmente duro, in cui le consuete limitazioni ai diritti civili e politici erano accompagnate da politiche feroci come quelle sul lavoro forzato. Ma il Portogallo, e in particolare il regime salazarista, ha sempre presentato la propria presenza coloniale all'interno della cornice retorica del “lusotropicalismo” del sociologo brasiliano Gilberto Freyre, che sostanzialmente presenta il colonialismo portoghese, per attitudine e portato storico, come particolarmente consono alla creazione di armoniose società multirazziali. E la figura di Eusébio è stata una delle carte mediaticamente più note che il regime di Salazar giocò a sostegno di tale visione. Magnificato per le sue capacità in un’epoca in cui gli africani in Portogallo erano ancora ridicolizzati per la loro inferiorità in fatto di usi e costumi, nessuno meglio di lui offriva l'immagine di un suddito coloniale assimilato alla società portoghese, ossia ciò che serviva alla retorica integrazionista dell'Estado Novo negli anni Sessanta come contraltare alle spinte nazionaliste che andavano ormai dominando in Afica sub-sahariana. Volente o nolente, Eusébio è divenuto una figura importante della cultura popolare portoghese dell’epoca, un simbolo del “lusotropicalismo portoghese”, e la sua vicenda ci dice quanto il lusotropicalismo sia ben vivo ancora oggi (basti leggere i post inviati sui vari siti e blog che hanno ripercorso la vita di Eusébio in questi giorni).
Il Portogallo di Eusébio negli anni Sessanta certamente è da considerarsi un elemento importantissimo di quella che fu, o meglio che si considerò, la nazione portoghese del tempo, e la glorificazione della sua figura contribuì a giustificare l'eccezione di un colonialismo quando gli altri colonialismi non c’erano più. Ma fino alla fine, il trattamento riservato agli africani nelle colonie fu ben diverso da ciò che comunicava il mito vivente del mozambicano Eusébio da Silva Ferreira.
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