4 mesi, 3 settimane, 2 giorni. In un Paese di appena 5,8 milioni di abitanti, di cui più della metà sono donne e il 42,5%  vive sotto la soglia di povertà, è significativo l'ultimo dato rilevato dalla Rete delle donne contro la violenza: dall'inizio dell'anno sono state uccise 40 donne, tra cui 4 bambine con meno di 10 anni. {C}Nonostante in Nicaragua il movimento femminista sia tra i più numerosi e organizzati dell’intera America Latina, retaggio della rivoluzione sandinista del '79, la violenza contro le donne prodotta principalmente in ambito domestico e il machismo continuano a delineare l'identità nazionale. Molte donne che hanno contribuito alla costituzione del Nicaragua libero dalla dittatura dei Somoza, durata più di trent'anni, oggi hanno abbandonato il partito di governo, come la scrittrice di fama internazionale Gioconda Belli, o Monica Baltodano, che oggi è militante nel Movimiento por el Rescate del Sandinismo, unica parlamentare rimasta in difesa della legalità dell'aborto. In Nicaragua, infatti, come in Cile e in Salvador, l'aborto è totalmente illegale. A penalizzare l'interruzione della gravidanza, permessa dalla Costituzione liberale della fine dell'Ottocento, è stato il Frente Sandinista diretto dal presidente in carica, Daniel Ortega, in seguito a un accordo pre-elettorale con la Chiesa cattolica nel 2006. A qualche mese dalle prossime presidenziali, che si terranno in novembre, il Frente resta fermo sulle sue posizioni, nonostante il tradimento dei valori rivoluzionari di trent'anni fa.

Il movimento femminista del Paese si trova oggi a fare i conti con un governo che si definisce “cristiano, socialista e solidale” (slogan della campagna elettorale) e la rivendicazione dei collettivi non va oltre la richiesta della depenalizzazione dell'aborto terapeutico. “Il Nicaragua non è pronto per accettare la libera scelta della donna – ci racconta Berta, attivista della città di León – la legalizzazione dell'aborto terapeutico può rappresentare un primo passo”. L'ultima manifestazione organizzata in città dal collettivo di Berta per chiedere la depenalizzazione dell'aborto dimostra come la pressione sociale sia forte: nel mezzo di un concerto tenutosi nella piazza principale, un militante del Frente Sandinista ha sabotato l'amplificazione gettando un secchio d'acqua sui circuiti elettrici, sotto gli occhi consenzienti della polizia. E questo è solo uno dei tanti piccoli casi di intimidazione.

Non si può neanche nominare l'aborto con le donne del “Mary Barreda”, una delle organizzazioni più conosciute e stimate di León. Fondata vent'anni fa, l'associazione si occupa del reinserimento delle donne lavoratrici sessuali, a cui è fornita assistenza medica, legale e psicologica. “Mary Barreda” lavora principalmente con le prostitute minorenni che affollano il mercato centrale. “Cominciano come venditrici di caramelle e di frutta – ci spiega Mercedes, ora sessantenne, fondatrice dell'associazione – fino a quando si accorgono che in quel modo non riusciranno neanche a pagarsi il pasto della giornata. A quel punto entrano in un bar, bevono un po' di alcool e si offrono al primo uomo disposto a pagarle. Come associazione cerchiamo di intervenire prima che questo succeda”. Nonostante l'aiuto offerto alle donne, la vicinanza dell'organizzazione con il partito di governo fa dell'aborto un tabù: tutte sanno che le donne lo praticano, ma è vietato prendere una posizione pubblica.

Il dottor Toruño, segretario generale del sindacato dei medici della Salute pubblica, ci spiega come la maggioranza dei ginecologi ricorra all'aborto in caso di complicazioni per la salute della donna e che nel rapporto medico si dissimuli l'intervento, per non incorrere nelle sanzioni. “C'è una forte contraddizione – ci spiega Toruño – tra quello che dice il ministero della Salute, cioè interrompere la gravidanza in caso di pericolo, e quello che dice la legge. I medici agiscono secondo coscienza”.  A essere sanzionate però sono le donne: 79 denunciate da quando è in vigore la penalizzazione, di cui il 33% ha meno di 18 anni.