Elezioni europee: Spagna. Il voto spagnolo ha confermato le previsioni della vigilia. I popolari hanno superato i socialisti conquistando il 42,2% dei consensi con 23 seggi, contro il 38,5% dei socialisti con 21 seggi.

Rispetto alle precedenti elezioni europee del 2004 i socialisti hanno perso 4 seggi, i popolari uno. Rispetto alle politiche del 2008 i popolari hanno guadagnato due punti percentuali, i socialisti ne hanno persi quattro e mezzo. Una conferma sulle previsioni ha avuto anche l’astensione: i votanti sono scesi al 43,1%, quindi oltre due punti sotto il 45,4% toccato nel 2004. Ma le più allarmistiche previsioni al riguardo non hanno trovato riscontro. Sostanzialmente invariato il risultato dei partiti minori. I nazionalisti baschi e catalani, presentatisi come Coalición por Europa (CEU) conservano i due seggi che avevano, lo stesso dicasi per la coalizione tra Izquierda Unida e i Verdi, mentre la nuova formazione centrista UPyD che aveva ottenuto un seggio alle Cortes nelle politiche del 2008, ne conquista uno anche all’Europarlamento. Il voto ha punito i socialisti nelle loro tradizionali roccaforti: in Andalusia l’astensione è stata superiore alla media nazionale, mentre ha raggiunto in Catalogna il 62,5%. Particolarmente disastroso per il PSOE il voto nella Comunità di Madrid dove ha perso 7,4 punti percentuali rispetto al 2004, mentre i popolari meno di uno.
Scontati anche i commenti. I popolari cantano vittoria e considerano chiuso il ciclo di Zapatero. I socialisti hanno negato che si possano trarre dal voto europeo conseguenze sul piano interno. La responsabile dell’organizzazione socialista, Leire Pajín, ha dichiarato che Rajoy ha avuto bisogno che la partecipazione al voto scendesse di trenta punti per aumentare di un punto percentuale in cinque anni. Altri esponenti del PSOE si sono consolati constatando che tra i partiti socialisti europei quello spagnolo è stato quello che meglio è uscito dalle urne. Per i giornali dell’area progressista, come “El País”, il voto è stato un serio campanello d’allarme per il governo di Zapatero. Per quelli di destra, come “Abc” e “El Mundo”, il voto avrebbe fortemente rafforzato la leadership di Rajoy e suonato le campane a morto per il PSOE.
Anche in Spagna come altrove l’Europa è stata del tutto assente dalle elezioni europee. Il confronto tra le forze politiche è stato sui temi di politica interna e, in particolare, sulla gestione della crisi economica. Ora, considerato il pari europeismo dei due principali partiti spagnoli e quello, non inferiore, dei partiti minori, il risultato del voto spagnolo – alto tasso d’astensionismo a parte – non è tale da destare preoccupazione per quanto concerne la costruzione del soggetto europeo. Alla fine di una campagna elettorale giocata tutta sulla politica interna è, dunque, su questo piano che occorre avanzare alcune valutazioni. Per scelte compiute negli anni precedenti (da popolari e socialisti indistintamente), la Spagna si è trovata a dover far fronte a una crisi economica che l’ha colpita più di quanto sia avvenuto in altri paesi. Zapatero ha dapprima negato la profondità della crisi ed è poi intervenuto con ritardo. Questa la principale causa della sconfitta, che lascia sul campo un partito socialista debilitato, ma ancora forte. Dall’altra parte, la vittoria di Rajoy ne rafforza indubbiamente la leadership nel PP, sottoposta a duri attacchi da parte dei falchi, cioè dei settori più di destra.
Dovendo affrontare un PP ancora guidato da Rajoy, ma da un Rajoy più forte e che è riuscito a ridimensionare il peso dei falchi, Zapatero avrà in futuro vita dura. Non potrà, infatti, sfruttare elettoralmente i timori diffusi nell’elettorato progressista del ritorno della destra. Mancano, però, ancora tre anni alla fine della legislatura e alle prossime elezioni politiche. Saranno allora gli eventuali segnali di ripresa sul piano economico a determinarne l’esito.