Elezioni europee: Slovenia. Quanto sono “europei” i risultati delle elezioni per l’Europarlamento in Slovenia?

Molti commentatori non hanno dubbi: il trend generale registrato nell'Ue coinvolge anche Lubiana e dintorni. Si legge della “disfatta” del centro-sinistra, dell’avanzata del centro-destra, dell’affermazione di un partito di destra (attualmente) extra-parlamentare. Tuttavia, per chi è abituato a decostruire mappe mentali collettive e categorie quali “occidentale” e “europeo”, è forse preferibile operare una rapida comparazione: guardando a quelle elezioni dall’osservatorio italiano, si notano sensibili differenze, prima fra tutte la conquista di un seggio ciascuno - su sette in totale - da parte di due partiti minori del centro-sinistra. Inoltre, in virtù del peculiare sistema di attribuzione dei seggi adottato dalla Slovenia, nonostante le differenze di risultati, i due principali partiti (il Partito democratico sloveno, di centrodestra, ha conquistato il 26,9%, mentre il Partito socialdemocratico, di centro-sinistra e attualmente al governo, si è fermato al 18,5%) otterranno lo stesso numero di europarlamentari, due a testa. Insomma, la tendenza sarà anche in accordo con quello generale, però ha prodotto risultati assai equilibrati tra centro-destra e centro-sinistra, diversamente rispetto all’Italia e al resto dell’Ue. E se guardiamo quei risultati spostandoci un po’ più a Est? Anche in quel caso, la Slovenia sembra seguire una propria via, distinta da quella degli altri paesi dell’ex Oltrecortina e ora comunitari, pensando alla inquietante avanzata dell’ultradestra in Ungheria, alla presenza di un partito monarchico bulgaro, alla nettissima sconfitta della sinistra in Polonia.
Allora è utile provare a guardare le elezioni dall’interno, per comprendere qualcosa della loro peculiarità. Un primo dato: poco più di un elettore su quattro è andato a votare, ancor meno delle prime elezioni europee cui partecipò la Slovenia nel 2004. In un paese di piccole dimensioni una scarsa affluenza alle urne significa che davvero in pochi, in Slovenia, si sono interessati al tema che stiamo commentando. Questo atteggiamento potrebbe aver risentito anche dello scarso entusiasmo dimostrato dai politici stessi in occasione delle scorse elezioni, quando il prestigio dell’euro-incarico non si era ancora affermato. Borut Pahor, infine eletto tra le fila socialdemocratiche, aveva accettato controvoglia il mandato. A questo riguardo, la percezione del ruolo di europarlamentare sembra sia mutata, guadagnando molto appeal. Ora lavorare a Strasburgo non è più inteso come un incarico di second’ordine, cui destinare le “riserve” delle squadre di partito. I più maliziosi fanno notare che possa aver giocato un ruolo il fatto che da questa legislatura lo stipendio non sarà più a carico dello Stato sloveno, ma della Comunità europea, raddoppiando. Anche da questo punto di vista la Slovenia si è, ora, integrata, ricevendo un trattamento paritario rispetto agli altri Stati membri. Tuttavia, non si può nemmeno ridurre l’intera questione all'attrativa suscitata dai 7.700 euro di stipendio mensile. L’impegno elettorale e parlamentare europeo è inevitabilmente legato, a filo doppio, con la scena interna. Un solo esempio: è vivace il dibattito intorno ai criteri che hanno guidato la composizione delle liste. Secondo qualcuno, l’insoddisfacente risultato ottenuto dal partito di Borut Pahor, Primo ministro all’indomani delle elezioni dell’autunno 2008 che hanno affermato i socialdemocratici come primo partito del paese, sarebbe da ricondurre al fatto che non ha candidato personalità di primo livello della scena politica nazionale. Secondo altri, invece, la mossa è stata intelligente: prevedendo un calo elettorale, il premier ha preferito preservare la credibilità dei massimi esponenti del proprio partito. Anche la vicenda elettorale slovena richiede analisi puntuali e circostanziate. Qui ci limiteremo a un’ulteriore osservazione: se è vero che il prestigio (e lo stipendio) dell’europarlamentare è aumentato, sembra che lo sia anche lo squilibrio tra uomini e donne, ora decisamente a vantaggio dei primi, ancora più presenti tra gli eletti rispetto al 2004.