Sfruttare la rabbia, intercettare il disagio, diffondere false verità. Con queste strategie i populisti autoritari vedono crescere l’interesse nei loro confronti. Sono abili nel gridare spesso al «complotto» ai loro danni non appena devono misurarsi con responsabilità di governo anche in ambito locale e non offrono la soluzione ai problemi. Degli uomini e delle donne sensibili al richiamo del «populismo autoritario» tratta un’indagine britannica in cui, a partire da serie di dati su panel di YouGov, si esamina l’elettorato che lo scorso giugno ha espresso il proprio consenso per Brexit. A giudizio di David Sanders (University of Essex), di Jason Reifler (University of Exeter) e di Thomas Scotto (University of Strathclyde) l’ascesa del populismo autoritario segna una sorta di rivoluzione nell’universo della postmodernità.
Lo studio segnala con preoccupazione quanto si stia irrobustendo il rigetto verso le élite alla guida della vita istituzionale o economica. Le classi dirigenti vengono accusate di aver favorito i «poteri forti» ai danni del «popolo». In particolare da parte dei giovani disoccupati, da chi ha perso lavoro o teme di perderlo a breve. O dai più anziani con un basso livello di istruzione, spaventati per il futuro di figli e nipoti. Quanti sono gli uomini e le donne che potenzialmente potrebbero votare in Europa per un partito che ha un leader con caratteristiche da populista autoritario? Al vertice della graduatoria c’è la Polonia con l’80% dei cittadini maggiorenni, seguita nella classifica da Francia (63%), Olanda (55%), Regno Unito (49%) e Italia (47%). Si tratta, in tutta evidenza, delle nazioni nelle quali le formazioni politiche del nuovo populismo postmoderno ottengono maggior seguito. Ottenendo consenso in maniera indistinta tra chi in passato votava a destra o a sinistra. Perché agli occhi di questi elettori Farage, Le Pen, Grillo o Salvini garantiscono la rivoluzione e, magari, anche il ritorno a un passato rassicurante. Meglio ancora se fuori dalla Ue o almeno fuori dall’euro. Senza troppi immigrati liberi di «rubare il lavoro», di ottenere sussidi o di assicurarsi un posto in graduatoria per le case popolari nonostante siano «gli ultimi arrivati».
Per l’immediato futuro, sostengono nel report conclusivo gli autori della ricerca, è probabile che crescano la rabbia verso un immaginario capro espiatorio (i «poteri forti», le banche, i tecnocrati di Bruxelles) e verso gli immigrati. Ma sin da ora, aggiungono, è possibile definire il populismo autoritario «il pericolo più tossico per la pacifica convivenza civile in questo tormentato inizio di nuovo millennio».
Porre l’accento sui rischi legati agli arrivi da altri Paesi per ricavarne vantaggi in termini di popolarità è pratica antica. Per quanto riguarda il Regno Unito, l’esempio più noto risale all’aprile 1968, quando Enoch Powell pronunciò un apocalittico discorso sul «fiume Tevere schiumante di sangue» che gli fece guadagnare i titoli di apertura dei quotidiani. Come ha ricordato lo storico Peter Clark, con le sue parole Powell appiccò un fuoco politico a un cumulo altamente infiammabile di disagi sociali che altri avevano preferito ammucchiare in un angolo. Il modello offerto da Powell è stato spesso replicato in seguito e la coppia formata da Farage e Johnson alla testa della campagna per Brexit è stata solo l’ultimo episodio riconducibile a questa strategia. Da una recentissima indagine dell’istituto Ipsos Mori è emerso, tra l’altro, che due terzi dei britannici sono persuasi che il numero degli immigrati abbia superato il 15% della popolazione totale (un valore pari a tre volte quello reale, che è del 5%), che il 25% dei rifugiati politici provenienti dall’intero pianeta venga accolto nel Regno Unito (il dato vero è inferiore al 2%) e che agli stessi rifugiati il governo offra un contributo settimanale per le loro spese di 150 sterline invece delle 36 che sono versate. Di fronte a questa confusione, un vero e propri travisamento della realtà, non meraviglia che un’altissima percentuale degli intervistati si dica favorevole a «sbarrare i confini una volta per tutte» e giudichi le scelte degli esecutivi in questo ambito «troppo permissive». Le Pen in Francia, Orban in Ungheria, Grillo e Salvini in Italia stanno seguendo una strategia analoga. Diffondendo la percezione che chi arriva dal Medioriente o dall’Africa in guerra rappresenti una «minaccia» e che la soluzione migliore sia «aiutare i migranti a casa loro a risolvere i problemi dai quali fuggono».
L’ascesa dei populisti autoritari, che al momento appare quasi inarrestabile, può costituire una minaccia serissima per la democrazia rappresentativa. Giudicata da milioni di persone «lenta e inadeguata», sottomessa a classi dirigenti «che vogliono difendere i propri privilegi»: meglio la democrazia diretta garantita dal web e un potere incarnato in un leader forte, capace di prendersi responsabilità, di agire in fretta. L’indagine termina con l’auspicio, dettato dall’ottimismo della volontà come gli stessi studiosi ammettono, che la tendenza possa rifluire, lasciando spazio a una dialettica più pacata tra élite e comuni cittadini. Le elezioni alle porte in Europa – a cominciare da quelle già fissate nel corso dell’anno in Francia, Olanda e Germania – diranno se la forza dell’onda di piena sarà contenuta o se, al contrario, i suoi dirompenti effetti saranno destinati ad aumentare.
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