La notte dei lunghi coltelli laburista. A pochi mesi dalle elezioni generali di primavera per il rinnovo del Parlamento di Westminster, i malumori interni al Partito laburista si diffondono e hanno l’effetto di una «pugnalata» sulla deficitaria conduzione del partito da parte del premier.Scarsa leadership, incapacità comunicativa, perenne indecisione: sono queste le principali critiche mosse a Gordon Brown dai suoi stessi compagni di partito. Chi non ricorda i tentennamenti del 2007 circa l’indizione di elezioni anticipate, che avrebbero dovuto legittimare la sua nomina, seguiti dalla repentina retromarcia sulla scorta di sondaggi che indicavano la possibilità di una Caporetto elettorale? Da allora Brown è stato marchiato come «bottled out», cioè un primo Ministro non eletto. Recentemente due ex ministri del suo governo, Geoff Hoon (Difesa) e Patricia Hewitt (Sanità), sono usciti allo scoperto con una lettera inviata a tutti i parlamentari laburisti, nella quale hanno dichiarato apertamente la loro sfiducia nel premier e la volontà di sostituirlo tramite una votazione interna a scrutinio segreto. Anche negli anni scorsi, dopo le pesanti batoste riportate dal Labour nelle elezioni locali e nelle elezioni suppletive (fra tutte, ricordiamo la sconfitta del 2008 nel bastione laburista di Crewe e Nantwich espugnato dai Tories) fu fatto un tentativo analogo, ma senza successo. Altro particolare da non trascurare è la vicinanza di Hoon e Hewitt all’area dell’ex primo ministro Tony Blair. Questo aperto tentativo di «golpe» interno al Labour, che ha l’obiettivo di rilanciare il partito in vista del voto per competere alla pari con i conservatori di David Cameron, o quantomeno per limitare i danni, non fa altro che indebolire il premier e riportare a galla le vecchie ruggini fra le due componenti del Labour Party: l’ala fedele a Tony Blair e quella vicina a Gordon Brown.
Alla base di questo scontro – che si è combattuto anche sulle scelte internazionali (alle dimissioni anticipate di Blair hanno contribuito le forti polemiche per la guerra in Iraq e le accuse di essere troppo allineato alle posizioni di Bush) - ci sono due distinte linee politiche: da una parte quella che recupera le tradizioni della sinistra laburista e del suo elettorato più fedele (linea Brown), dall’altra quella che rifiuta l’idea di «lotta di classe» e punta al recupero del «center ground», cioè di quell’elettorato moderato e instabile, che faticosamente il New Labour ha strappato ai conservatori nel corso degli anni Novanta. Peter Mandelson, guru del partito, ha avvertito Gordon Brown dei rischi di questa scelta. Riportare il New Labour ad una linea politica anni Settanta (in tutti i laburisti è ancora vivo il ricordo delle inevitabili espulsioni realizzate da Neil Kinnock, a partire dalla metà degli anni Ottanta, contro esponenti dell’ala più radicale del Militant) significa condannare il partito alla sconfitta. Brown è stato un ottimo Cancelliere dello Scacchiere, cui si riconosce buona parte del merito per il boom economico della «Cool Britannia» negli anni Novanta. Non altrettanto brillante invece è stata la sua permanenza al numero 10 di Downing Street, sebbene sondaggi recenti lo indichino in recupero rispetto ai conservatori del rampante Cameron (l’ultimo, realizzato a inizio febbraio dalla Icm per il «Sunday Times» vede i Tories al 39%, il Labour al 30% e i Libdem al 20%). I prossimi mesi ci diranno se questa rincorsa avrà qualche possibilità di concretizzarsi o se sarà stato soltanto un fuoco di paglia.
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