La nuova identità della Nato. Il vertice della Nato svoltosi a Lisbona il 19 e 20 novembre scorsi assume una grande importanza per le decisioni che sono state prese e per l'impatto che queste avranno sul futuro delle relazioni transatlantiche. Tre i fatti di maggiore rilievo: a) la riorganizzazione della Nato, definita dall’approvazione di un nuovo concetto strategico (in cui si individuano le nuove minacce alla difesa collettiva:cyber-terrorismo, sicurezza energetica, proliferazione di tecnologia nucleare), da una razionalizzazione delle proprie strutture civili e militari (taglio al budget di circa 30%, riduzione del personale del quartiere generale, riforma delle agenzie e dei comandi militari) e dal rafforzamento di un comprehensive approach nella gestione delle crisi internazionali; b) la definizione di una strategia di transizione in Afghanistan con l’obiettivo di ritirare, entro il 2014, tutte le truppe di combattimento e aumentare, nel contempo, il numero degli addestratori delle forze armate e di polizia locali (l’Italia ha promesso l’invio di altri 200 uomini, per un totale di 600, divenendo così il maggiore contribuente, dopo gli Stati Uniti); c) una rinnovata partnership con la Russia che, con la presenza al summit del presidente Medvedev, ha accettato l’invito americano a cooperare alla realizzazione dello scudo di difesa missilistica in Europa, a incrementare il proprio ruolo di supporto logistico e di training nel teatro afghano e a continuare a sostenere la proposta di un nuovo trattato sulla riduzione dei rispettivi arsenali nucleari.
Il summit è stato giudicato da molti osservatori in maniera assai positiva. Sul versante americano, è stato interpretato come un duplice successo personale di Barack Obama dopo la sconfitta alle midterm elections: sul piano interno, riuscendo a fare accettare a europei e russi il progetto di difesa missilistica; sul piano esterno, ribadendo la volontà degli Stati Uniti di non diminuire il proprio interesse per le vicende europee, soprattutto in una fase di grave crisi economica e instabilità valutaria (ad esempio l'Irlanda). Sul versante europeo, il riavvicinamento russo-americano e la disponibilità di Washington a un approccio più diplomatico (e meno militare) in Afghanistan sono visti come il segno tangibile del ruolo della Ue di pacifico balancer globale. Da parte russa, infine, Mosca ha finalmente ottenuto il riconoscimento di necessaria grande potenza nello scacchiere euro-asiatico.
Tuttavia, un’analisi più attenta suggerisce come, anche in questo caso, il dipanarsi della «dottrina Obama» continui ad alimentare, se non ad amplificare, un vero e proprio dilemma transatlantico fatto di un intricato insieme di equilibri e compromessi, presente sin dagli albori della Nato, ma che nell’era post-bipolare rischia di comprometterne l’esistenza stessa. Da un lato, accantonata l’era Bush, se gli Usa dedicano più risorse e impegno al rilancio dell’alleanza, l’attuale centralità dello scacchiere asiatico determina però, in modo quasi inevitabile, l’apertura alla Russia, potenza energetica e militare superiore all’Europa, soprattutto in chiave anti-iraniana e anti-nordcoreana, dunque anti-cinese. Una Russia che, dal canto suo, ha tutto da guadagnare, politicamente ed economicamente, da un’eventuale relazione con gli Usa. Pertanto, ammesso che Obama riesca a trovare un modus vivendi con i repubblicani sulla politica estera, la domanda “a che ci serve l’Europa?” (di memoria neo-con) potrebbe nuovamente tornare di moda a Washington, soprattutto se, come storicamente avviene, Lisbona compresa, gli europei preferiscono ripiegarsi su se stessi e limitarsi a contributi individuali di basso costo. Ciò che è in gioco non è la scomparsa della Nato, bensì il suo continuo scivolamento verso un ruolo cerimoniale, quindi la progressiva irrilevanza strategica dell’Europa.
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