Generazione in difficoltà. In una domenica d’inizio primavera dello scorso anno, nella terra di Saramago e Pessoa, si è assistito a un’imponente manifestazione di giovani, di quelle che non si vedevano dai tempi della rivoluzione dei garofani dell’aprile 1974, che portò alla caduta del regime autoritario di António de Oliveira Salazar e alla transizione verso la democrazia. La mobilitazione portoghese è iniziata tramite l’impulso di quattro giovani studenti via Facebook e Twitter, per rivendicare il diritto a un lavoro che oggi non c’è. «Geração à rasca», generazione in difficoltà, è stata battezzata la protesta, che ha visto scendere in piazza, nelle principali città portoghesi, centinaia di migliaia di persone a manifestare per il loro «diritto al futuro». La realtà con cui confrontarsi oggi in Portogallo è tra le più deprimenti nel vecchio continente, assieme alla Grecia. I dati e i numeri della crisi portoghese parlano chiaro: «i laureati precari sono più che raddoppiati in dieci anni», titolava poco tempo fa il quotidiano principale del Paese, «Público», riferendo di una generazione che vive prevalentemente di contratti precari, senza speranza per un futuro lavorativo stabile. Secondo l'Istituto nazionale portoghese di statistica, il numero dei laureati in condizioni lavorative precarie è cresciuto del 129% negli ultimi dieci anni.
Il precedente esecutivo guidato dal socialista José Socrates aveva presentato nel marzo 2011 un rigoroso piano di austerity per arginare la crisi finanziaria, respinto poi dal Parlamento. Contestualmente, vi è stato il declassamento del debito portoghese da parte di una delle tre principali agenzie di rating, Moody’s: il default portoghese ha ricevuto il giudizio più basso, quello comunemente definito “spazzatura”. Il debito portoghese ha una storia che parte da lontano, ma che ha conosciuto un’impennata nell’ultimo decennio. Dall’ingresso del Portogallo nella moneta unica si è registrato un incremento del debito pubblico dal 48,5% del Pil all’attuale 101% (se poi si considera l’ultimo biennio si è passati dal 71,6% del 2008 all’attuale 101%), lasciando una pesantissima eredità alle future generazioni.
Dopo le dimissioni del premier Socrates e la vittoria alle elezioni di fine primavera del centrodestra, dal 21 giugno 2011 il nuovo primo ministro è il socialdemocratico Pedro Passos Coelho, a capo di una coalizione con il Centro democratico sociale – Partito popolare. La situazione, tuttavia, stenta a dare segni di ripresa. Particolarmente impopolari sono state alcune decisioni in ambito economico: alcuni giornali portoghesi - come «Jornal de Negócios» - definiscono come vera e propria «resa» la scelta del colosso della distribuzione Jerónimo Martins (a cui appartengono aziende come la catena di supermercati Pingo Doce) di voler delocalizzare il capitale sociale nei Paesi Bassi, dove il sistema fiscale è più favorevole. Accese critiche stanno concentrandosi sulle privatizzazioni che dovrebbero investire alcuni settori strategici. Il settimanale «Expresso», a inizio dicembre 2011, ha riportato la notizia che Brasile, Cile e Angola (e qui il passato coloniale rende l’operazione ancora meno digeribile all’opinione pubblica portoghese) si appresterebbero ad acquisire importanti aziende pubbliche nazionali come Energias de Portugal, Rede eléctrica nacional, la società Ana, che gestisce gli aeroporti, fino ad arrivare alle poste portoghesi di Ctt. In un contesto di profonda crisi nazionale, nonostante le proteste giovanili e la mobilitazione sociale culminata nello sciopero generale contro l’austerity proclamato a fine novembre, non sembrano profilarsi all'orizzonte vie d’uscita percorribili. Per ora, quindi, non ci resta che affidarci, come recita una celebre poesia di Fernando Pessoa, alla «speranza a cui, come un bambino dormiente, dormendo sorridiamo».
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