Forse è la lingua spagnola che da un tono militante e arruffa-popolo a certe affermazioni, ma no, «libertad y justicia para todos» non è uno slogan chavista o peronista. La frase intera che Jennifer Lopez ha gridato durante la sua performance per l'insediamento del presidente Biden, e cioè «una nación bajo Dios, indivisible, con libertad y justicia para todos», in effetti con un bel crescendo sul finale, altro non è che la versione in spagnolo della seconda parte del patriottico Pledge of Allegiance, il giuramento alla bandiera. Quello che si usa fare nelle scuole americane, in alcuni Stati più che in altri, con la mano destra sul cuore, e che nella sua interezza inglese, codificata nel Flag Code nazionale, recita così:
«I pledge allegiance to the Flag of the United States of America, and to the Republic for which it stands, one Nation under God, indivisible, with liberty and justice for all».
Che la cosa abbia colto di sorpresa parte del pubblico sul palco non è sorprendente, o magari dovrebbe esserlo, visto che la lettura in spagnolo del giuramento non è una novità, e più di una volta ha fatto parecchio rumore, nelle classi multietniche d'America (dove, fra l'altro, qua e là ci sono state letture anche in francese e italiano, giapponese e arabo, hindi e portoghese). Trattasi ovviamente di faccenda controversa, per ragioni che non sono difficili da pensare. Gli iper-patriottici dicono che non si deve, che l'unica lingua giusta è l'inglese. I diversamente patriottici dicono che si può, che l'importante è celebrare il rito e trasmettere il messaggio. Alcune istituzioni pubbliche scolastiche propongono anche le loro traduzioni, con qualche variazione (non mi pare che ci sia una versione ufficiale nazionale). Comunque il testo con le varianti è questo:
"una nación bajo Dios, indivisible, con libertad y justicia para todos", altro non è che la versione in spagnolo della seconda parte del patriottico Pledge of Allegiance, il giuramento alla bandiera
«Juro fidelidad [Prometo lealtad] a la bandera de los Estados Unidos de América y a la República que representa, una Nación bajo [ante] Dios, indivisible [entera], con libertad y justicia para todos».
Il tono militante, anche radicale, in effetti non è del tutto fuori posto. Ed è interessante che emerga quando la frase, liberata dall'aura patriottica della recita ritualizzata che neanche ascoltiamo più, ascoltata come nuova grazie all'estraniamento indotto da un'altra lingua, è compresa per quello che effettivamente dice. Dopotutto fu scritta da un socialista alla fine dell'Ottocento. E certo ebbe successo perché fu adottata dai movimenti per l'americanizzazione degli immigrati, quelli che miravano a prenderli da piccoli, i loro figli, nelle scuole. E certo fu inventata come operazione pubblicitaria di un periodico giovanile a grande tiratura. Ma insomma, invocava una patria in cui ci fosse libertà e giustizia per tutti, in un momento in cui le idee socialiste e i sentimenti socialisti erano parte presente e legittima del discorso pubblico.
Il socialista inventore si chiamava Francis Bellamy, un giornalista con un passato da ministro battista, allontanato dalla sua Chiesa perché predicava il vangelo sociale, il socialismo cristiano, contro i mali del capitalismo. Era cugino e simpatizzante di Edward Bellamy, fondatore di un movimento riformatore e autore dell’influente romanzo utopico Looking Backward (1888), ambientato in un’America che nell'anno 2000 sarebbe diventata socialista (di un socialismo autoritario e irregimentato, ma tant'è). Francis aveva dapprima pensato di inserire nel suo giuramento lo slogan della rivoluzione francese, «libertà, eguaglianza, fraternità». Ma poi lo aveva cassato ritenendolo troppo anti-individualista per gli americani del tempo. Le parole libertà e giustizia gli parvero più ecumeniche, «applicabili sia a uno Stato individualista sia a uno socialista». Con ottimismo, lasciò l’opzione aperta alle generazioni future.
Il periodico giovanile era il bostoniano «The Youth’s Companion», che stampava mezzo milione di copie e, per farsi pubblicità, si era già dato ad attività promozionali di tipo patriottico. Ora cercava un modo per aumentare ancora le vendite. E lanciare una campagna per diffondere nelle scuole un Pledge of Allegiance alla bandiera preparato dalla redazione sembrò il modo adatto. Anche l’anno era adatto. Era il 1892 e per il quarto centenario della scoperta dell’America le feste si annunciavano imponenti: un’opportunità da non perdere. Con la benedizione del presidente Benjamin Harrison, l’operazione ebbe successo. Il 12 ottobre 1892, Columbus Day, moltissimi alunni in giro per il Paese recitarono il giuramento, salutando con solennità la stelle-e-strisce issata da gruppi di ex-combattenti. Iniziò così un rituale che in parecchi Stati divenne presto obbligatorio. La formula del Pledge originario era questa:
«Giuro fedeltà alla mia bandiera e alla Repubblica che essa rappresenta: una nazione indivisibile, con libertà e giustizia per tutti».
Nei decenni successivi la formula e il rituale cambiarono un poco, per rispondere a nuovi stati d'animo. Negli anni Venti, si parlava di immigrazione indesiderata e pericolosa? Le parole «alla mia bandiera» furono sostituite con «alla bandiera degli Stati Uniti d’America», per evitare equivoci; non fosse mai che gli immigrati pensassero di giurare fedeltà alla bandiera dei loro Paesi d'origine. Fu negli anni Quaranta, durante la guerra, che le autorità federali chiesero che la recita avvenisse con la mano destra sul cuore: per rompere la consolidata abitudine di farlo con il braccio alzato e rigido, il palmo rivolto in alto, un saluto con una lunga storia ma che ora, d'improvviso, assomigliava troppo a quello hitleriano.
E l’espressione «libertà e giustizia per tutti»? Beh, «se deve essere accettata come descrittiva della realtà piuttosto che come un ideale, può apparire a qualcuno un overstatement», cioè, insomma, un’esagerazione
Negli anni Cinquanta, infine, nel pieno della Guerra fredda, divenne opportuno segnare la distanza fra l'America timorata di Dio e il comunismo ateo? Il Congresso inserì Dio nel Pledge, quel «under God» ripreso da un discorso di Lincoln. Ora la formula era completa:
«Giuro fedeltà alla bandiera degli Stati Uniti d’America e alla Repubblica che essa rappresenta: una nazione sotto la guida di Dio [one nation under God], indivisibile, con libertà e giustizia per tutti».
Ma la storia no, non è completa. Nel frattempo, infatti, la Corte suprema, con una storica decisione del 1943 (West Virginia Board of Education v. Barnette), aveva detto la sua, liberale e libertaria. Il giuramento alla bandiera nelle scuole, disse, se obbligatorio è incostituzionale. È una coercizione ideologica da parte dello Stato, e chi lo voglia ha il diritto di rifiutarlo, un diritto protetto dal primo emendamento. Anche perché, scrive l'estensore della sentenza, il giudice Robert H. Jackson (più tardi fu pubblico ministero nei processi di Norimberga contro i crimini nazisti), il linguaggio del Pledge è opinabile, tutt’altro che neutrale. Dire Repubblica invece che democrazia, o nazione invece che federazione, rinvia ad aspre controversie nella storia e nella cultura politica del Paese. E l’espressione «libertà e giustizia per tutti»? Beh, diciamoci la vertà, dice Jackson con un understatement molto cool, «se deve essere accettata come descrittiva della realtà piuttosto che come un ideale, può apparire a qualcuno un overstatement», cioè, insomma, un’esagerazione.
Da allora la recita scolastica del Pledge of Allegiance è volontaria. Anche negli Stati che la prevedono per legge, non c’è l’obbligo di parteciparvi né per gli insegnanti né per gli studenti. E «libertad y justicia para todos» continua a essere un ideale da rivendicare piuttosto che una realtà, immagino.
Riproduzione riservata