La piena legalizzazione anche in Italia della compravendita di prestazioni sessuali, seguendo l’esempio di altri Paesi, fra cui la Germania – che Luca Oliviero proponeva nell’articolo uscito online su questa rivista –, deve essere affrontata con lungimiranza. Il Parlamento italiano è dal 1958 che non ne discute, dopo aver abolito, con la legge Merlin, la prostituzione di Stato.
Semplificando un po’, nei Paesi europei vi sono oggi tre modalità per affrontare la questione prostituzione: la prima (chiamiamola modello italiano) non proibisce né la vendita né l’acquisto delle prestazioni sessuali, ma punisce chi sfrutta questo mercato. La seconda (modello tedesco) legalizza sia l’acquisto sia la vendita di sesso, legalizzando anche le imprese che organizzano l’incontro fra domanda e offerta. La terza invece proibisce l’acquisto – ma non la vendita – di prestazioni sessuali (modello svedese). Questo neo-proibizionismo, adottato – sulla spinta dei movimenti femministi – in Svezia dal 1999, successivamente in Islanda e Norvegia, sta per essere approvato in Francia ed è raccomandato a tutti i Paesi da una risoluzione del Parlamento europeo del febbraio 2014. La discussione su quale sia la scelta migliore è aperta, ma nell’attuale dibattito, a mio avviso, è basata in modo eccessivo sui “principi”. Da un lato, molti tra i favorevoli alla legalizzazione invocano il diritto delle persone a fare del proprio corpo quello che vogliono. Molti neo-proibizionisti insistono invece sulla indisponibilità commerciale delle prestazioni sessuali, in nome della dignità delle persone.
Si tratta di posizioni non solo non conciliabili, ma addirittura incapaci di comunicare fra loro. Io ritengo che su questi temi, pur tenendo saldi i valori costituzionali, convenga invece ragionare alla luce dell’etica della responsabilità, ossia di quella che – secondo Weber – dovrebbe guidare i legislatori. La domanda principale dovrebbe essere: a prescindere dalle intenzioni e dai principi espressi da una legge, quali sono le conseguenze della legge stessa? L’Italia, nel ragionare sulle leggi per regolare la prostituzione, ha la “fortuna” di essere l’ultima arrivata, potendosi giovare di una storia ormai sufficientemente lunga di Paesi che hanno fatto le due diverse scelte, legalizzatrice e neo-proibizionista (si veda, a tale proposito, il libro di Giulia Garofalo Geymonat, Vendere e comprare sesso, Il Mulino, 2014).
Gli osservatori e gli studiosi segnalano in modo concorde che nei Paesi legalizzatori il numero di prostitute e di clienti è aumentato (le stime in questo campo sono difficili e aleatorie, ma i giornali tedeschi parlano di un milione di clienti al giorno), mentre non si riesce a contrastare in modo efficace lo sfruttamento dei sex workers, con la piccola eccezione delle prostitute di alto bordo: non è un caso se molte delle donne straniere che accedono in Italia a misure di protezione contro la tratta dichiarano di essere passate per i bordelli tedeschi od olandesi. Le donne che liberamente decidono di vendere prestazioni sessuali – come potrebbero decidere di fare la commessa o di iscriversi all’università – sono in realtà pochissime: la stragrande maggioranza delle biografie delle prostitute parla di marginalità e sfruttamento. Insomma, l’esperienza degli altri Paesi mostra che, se il mercato del sesso viene legalizzato, diventa praticamente impossibile contrastare la tratta di esseri umani a scopo sessuale.
Pensando a quanto potrebbe accadere in Italia, mi sembra pertinente il paragone con la legalizzazione del gioco d’azzardo nei bar: una volta rotto l’argine proibizionista, le possibilità di guadagno erano tali che la pratica si è diffusa a macchia d’olio, creando intrecci inestricabili e difficilmente contrastabili di interessi, di lobby, cui purtroppo la politica non è estranea, e spalancando un lucroso business alla criminalità organizzata. Alla luce di quanto accaduto in Germania e in altri Paesi, e tenendo conto del basso tasso di legalità dell’Italia, specialmente in alcune sue regioni, temo che se la prostituzione venisse legalizzata i bordelli si moltiplicherebbero a dismisura, non migliorando la condizione delle prostitute, indebolendo – invece di irrobustire – il contrasto alla tratta, e favorendo gli affari delle mafie.
Prima di adottare il modello neo-proibizionista in Svezia si discusse a lungo sui principi, ossia sul fatto che una legge siffatta fosse contro il diritto di un individuo di disporre liberamente del proprio corpo. Pragmaticamente si decise che, essendo impossibile mettere un confine realistico fra libertà e costrizione, per tutelare le donne sfruttate conveniva optare per una scelta semplice e draconiana, sanzionando chi acquista prestazioni sessuali, ma non chi vende sesso, accompagnando e assistendo nel contempo chi vuole lasciare il lavoro del sesso.
Le ricerche sull’effetto di queste leggi sono incoraggianti. In Svezia nel 2010 una commissione indipendente e presieduta dal Cancelliere della giustizia ha concluso che la legge ha avuto effetti sostanzialmente positivi su tutte le persone coinvolte (ad eccezione dei magnaccia, dei trafficanti e dei clienti – vedi i riferimenti riportati qui). Il numero delle prostitute di strada si è ridotto della metà. È stato calcolato che in Svezia nel 1995 operassero circa 3.000 prostitute/i, mentre nel 2008 stime analoghe parlano di 300 prostitute/i in strada e 350 in casa. La Svezia avrebbe un decimo delle/dei prostitute/i della Danimarca, a fronte di una popolazione quasi doppia. Negli anni immediatamente precedenti il 1999, il 13,6% degli uomini pagava "prestazioni sessuali" e la maggioranza della popolazione era contraria alla legge. Nel 2010 meno dell'8% degli uomini acquistava prestazioni sessuali e il 70% della popolazione era favorevole alla legge di criminalizzazione dell'acquisto dei rapporti sessuali. La prostituzione in rete è aumentata in Svezia come altrove, a causa dello sviluppo di Internet, ma si trovano molti più annunci online nei Paesi vicini. Dopo aver ascoltato le testimonianze delle donne prostituite e delle ex prostitute, degli assistenti sociali, dei poliziotti e di altre persone direttamente interessate, la commissione ha concluso che la legge rappresentava un ostacolo all'insediamento dei trafficanti e dei magnaccia e aveva determinato una riduzione della criminalità organizzata.
Quindi, alla luce di questi risultati concreti, se l’obiettivo è ridimensionare tutto il mondo di sfruttamento che gira attorno alla prostituzione e combattere la tratta, il modello svedese sembra essere di gran lunga più efficace rispetto al modello tedesco.
Riproduzione riservata