Mi scrive la mia amica Elisabetta Barrella: "Mi sa che con le primarie noi del Pd ci complichiamo la vita". Non è che le primarie complicano la vita, cara Elisabetta. È la vita che è complicata, cioè non è più quella di un tempo.
Dal complesso delle primarie (ognuna delle quali presenta caratteri specifici e nasconde dinamiche peculiari) emerge la vera novità del tempo che viviamo: i partiti (non solo il Pd) non possono più guidare questi processi.
Un po' perché non sanno più leggere la realtà che cambia, hanno - come dire? - una lentezza di riflessi che impedisce loro di cogliere la velocità e l'estrema frammentazione caratteristica dei processi sociali dell'epoca attuale; e un po' perché esiste negli elettori liberi un riflesso irrefrenabile a "disobbedire".
E' da qualche tempo che mi sono convinto che la politica sta cambiando profondamente. Non è più appartenenza, intanto (salvo che in settori marginali). E' opzione, gusto di scegliere di volta in volta, fare di testa propria, sentimento e razionalità insieme ma mixati secondo proporzioni insondabili. Non necessariamente verte su grandi temi, sicché la decisione di stare da una parte o dall'altra può dipendere più da input minori (legati alla realtà quotidiana vissuta localmente) che non da grandi scelte strategiche. Si misura non sui programmi ma sulla rappresentazione che di essi danno i partiti e i loro uomini (inutile approvare solenni codici etici se poi hai in quella città o provincia un dirigente che ruba). Chiede linguaggi nuovi (più internet e meno comizi, ad esempio). Deve rispondere alla frammentarietà di una domanda sociale sempre meno aggregata (cioè si rovescia sulla politica un insieme di sollecitazioni molto delimitate, ognuna delle quali richiede una risposta a sé).
Ma se è così bisogna cambiare atteggiamento: le primarie intanto vanno lasciate il più possibile libere di esprimersi autonomamente, ricordando che il Pd è un partito di cittadini, e non di iscritti soltanto, e che le primarie sono state inventate per dare la parola ai cittadini. Dunque le segreterie nazionali e locali si astengano. Il Pd ascolti di più. Eviti di assumere posizioni in quanto partito. E faccia umilmente autocritica. Stia tra la gente (un tempo si diceva tra le masse). Scelga i dirigenti locali tra chi nelle varie situazioni ha legittimazione di base. Impari dalla realtà e non pretenda di guidarla da fuori. Se la società è frammentata, se non esistono più associazioni che da sole portano valanghe di voti, si parli ai singoli, lasciando perdere i patti più o meno negoziati con i soggetti istituzionali.
La politica, si diceva una volta, deve fare sintesi. Giusto: è il suo compito direi strutturale, senza il quale non ha ragione di esistere una mediazione politica. La politica raccoglie la domanda proveniente dalla società e cerca, scegliendo in essa secondo una ragionevole bussola, di darvi risposta in termini politici (appunto). Ma per far ciò dovrà pure ascoltare. E le primarie sono il momento dell'ascolto: il cittadino è sovrano. Non vale dire che il popolo delle primarie può seguire falsi idoli, può "sbagliare". Se questo accade (un caso tipico è stato il consenso verso Berlusconi nel periodo che abbiamo alle spalle) vuol dire che abbiamo sbagliato qualcosa, e che dobbiamo correggere la rotta.
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