Non sono un’amante della musica contemporanea. Preferisco Vasco Rossi. Detto da una che si occupa di musica colta, sembra una provocazione. E in effetti lo è. Perché abusare di questa sigla come di un'etichetta passepartout da appiccicare su un contenitore che non si sa nemmeno bene che cosa contenga significa dire tutto e nulla. {C}Facciamo nomi e cognomi: è il modo più schietto per esprimere un'opinione. Dimostriamo che qualcosa si è pur ascoltato, circostanziamo i sì e i no. Vasco Rossi lo conosco, di lui posso dunque dirvi che sì, mi piace. Anche se è musica che funziona al primo ascolto, e che vende, non per questo deve scontare il fio del successo.
La musica contemporanea suona ostica anche a me. Ma la ascolto, mi informo, sperimento, mi ci misuro. E dunque, se vi dico che prediligo Wolfgang Rihm a Luigi Nono, a ragione crederete che ho un'opinione al riguardo. Se non condividete la mia scelta poco importa, i gusti sono opinioni, si possono discutere ma non mettere in discussione. Se Rihm non vi piace, però, ditemi perché.
La cosiddetta musica contemporanea ha alcune colpe: essersi chiusa in se stessa, certamente, in un labor limae che ne ha scavato progressivamente l'esteriorità, disarticolando il contatto con ciò che accade fuori, oltre la propria superficie. Avviluppata in un tortuoso percorso di avanguardia, si è intellettualizzata a tal punto da perdere troppo spesso la complicità del corpo, il riscontro fisico del puro piacere: che è un tuffo al cuore, un pelo che si rizza.
Colpevole dunque sì la musica contemporanea, ma in parte. Perché è anche vittima dell'orecchio del mondo di adesso: sempre più pigro, più viziato dal mordi e fuggi di un ritornello da consumare in fretta, impaziente di rassicurarsi in una soddisfazione immediata.
Fate una prova: cercate un compositore di oggi su Youtube, e ascoltate la sua musica. Guardate scorrere il cursore del tempo: per quanti minuti reggete? Riuscite a tenere desta l'attenzione per più di sessanta secondi? Chiedetevi perché. Pensate davvero che tutti i compositori del nostro tempo scrivano fregature, opere inascoltabili verso le quali non nutrirete mai la smania di mettere su il disco a tutto volume? Naturalmente non può essere così. E allora forse c'è una corresponsabilità da parte nostra: ci mettiamo tutti poco alla prova. Ci esercitiamo troppo poco nell'ascolto dell'inaudito. E a ben pensare qualsiasi sforzo senza allenamento è tanto più faticoso.
Ma, allora, da dove cominciare? Come abituarci ai suoni nuovi e acquisire l'insperato godimento di passarli in rassegna, similmente a quando ci diletta la vista dei quadri di Pollock? La situazione in Italia è a dir poco scoraggiante: se non fosse per l'eroica missione di molti insegnanti nelle scuole medie musicali, la capacità di ascolto dei nostri ragazzi, l'abitudine ai suoni oltre i sentieri logori dello stra-sentito sarebbe semplicemente affidata al caso. Certo non alle due ore settimanali di piffero, che chiamare educazione musicale offende, in una materia sola, il concetto di arte e di pedagogia. Il cosiddetto flauto dolce con cui si impara a strimpellare ninnananne alle medie è un imperdonabile errore/orrore nell'approccio alla musica: perché i nostri ragazzi devono subire l'impatto del suono distorto di questo tubo di plastica stonato, stridulo e limitato nell'espressione, su cui da decenni sentiamo le solite filastrocche? Perché tutto questo? Perché la tradizione didattica italiana si ripete uguale a se stessa. E quando si trovano insegnanti che coraggiosamente fanno di testa loro oltre il dovuto, creando orchestre per bimbetti che non hanno mai studiato musica prima, sfilando loro da sotto il naso obsoleti libri di solfeggio per offrire la pura chance di un inciampo nel piacere dei suoni, ebbene, guardate i nostri fanciulli percuotere tamburi o dargli dentro con le chitarre: quello che conta è la gioia del suonare insieme che si legge nei loro occhi, felici finalmente di pasticciare con l'emozione dell'armonia da loro generata (e che sia sgrammaticata poco importa).
La musica contemporanea fa paura. Perché non canta il già udito. E per misurarsi con l'ignoto bisogna essere curiosi. Inventarsi storie d'ascolto capaci di esplorare nuovi territori. Ecco perché un bambino è paradossalmente più predisposto ad ascoltare bizzarrie sonore di quanto lo sia un adulto, fortemente strutturato nelle sue abitudini, nell'idea di ciò che gli piace e ciò che non gli piacerà mai, in quei gusti che spesso assomigliano a pregiudizi.
Sapete chi trae maggior divertimento dalla musica "strana"? I giovani che ascoltano la techno e l'elettronica, quella meno commerciale s'intende, dove la melodia è niente e tutto è suono. Vari amici musicisti mi hanno riferito di strabilianti esperienze vissute da concertisti in discoteca, ma lontano da qui, dove siamo ancora tristemente campanilisti ed erigiamo barricate tra generi musicali e i rispettivi pubblici. In Nord Europa, in Russia o in America, invece, non è infrequente ascoltare le sonorità intellettuali di un artista colto al pianoforte in prima serata, mentre in seconda si lascia campo libero ai dj più alla moda.
Studi scientifici hanno inoltre dimostrato che l'uomo non è per sua natura programmato per godere in tempo reale dell'espressione artistica a lui contemporanea. Ecco perché la prima della Grande Fuga di Beethoven fu definita dal pubblico del 1826 "incomprensibile come il cinese", mentre un secolo più tardi giudicata da Stravinsky "il più perfetto miracolo di tutta la musica, musica contemporanea che rimarrà per sempre contemporanea", proprio per la sua modernità capace di rinnovarsi in eterno.
Eppure, se spazzate via dal vostro campo visivo le linee e le forme che vi hanno accattivato sin qui, ci sono molti modi per pescare del bello nella musica d'arte di oggi. Potrei raccontarvi di meraviglie armoniche, di splendenti effetti strumentali, delle suggestioni autobiografiche che hanno plasmato alcune geniali partiture. Tutto questo sicuramente potrebbe guidarvi, emozionarvi e recarvi piacere d'ascolto. Ma fondamentalmente c'è un lavoro che dovete fare soltanto voi. Se è vero, come recita un noto adagio, che tutti gli ingegni rivoluzionari sono stati dati inizialmente per matti, poi per poveri scemi, infine per geni acquisiti, il motto in questo caso calza a pennello. E se non siamo geneticamente predisposti per cogliere in presa diretta la straordinarietà di certe invenzioni musicali di oggi, superate i nostri stessi limiti e appassionatevi al gioco di trovare da soli spunti di piacere e genialità. Pretendete di più dalle vostre emozioni, non aspettate il futuro che giudicherà il nostro presente per noi. Aprite la mente e fidatevi: tra tutti questi suoni cinesi si nasconde il nuovo "più perfetto miracolo di tutta la musica".
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