Ci sono strade e luoghi delle nostre città, spesso periferici o interstiziali, che si popolano di donne ma anche uomini e transessuali che vendono sesso. C’è la strada delle nigeriane, quella in cui si trovano le ragazze dell’Est Europa, le albanesi, oppure le romene, le bulgare o le ucraine; i cinema porno, le saune, i centri massaggi, la zona delle transessuali e i luoghi deputati alla prostituzione maschile. La città del sesso a pagamento non chiude mai e oggi acquisiscono sempre maggiore rilievo le estensioni digitali di questo particolare mercato; il contatto tra chi vende e chi compra prestazioni sessuali avviene sempre di più attraverso canali digitali, forum online, applicazioni e social network.
Affinando il nostro sguardo, quello della prostituzione si svela come un mercato stratificato, innanzitutto in termini di prezzario e prestazioni offerte, adatto a soddisfare i numerosi clienti-consumatori, il differenziato potere di acquisto di cui ciascuno dispone, i desideri e le fantasie che animano la ricerca di sesso a pagamento. Il mondo dei clienti spesso rimane in un cono d’ombra quando si tratta di prostituzione; il cliente o viene completamente rimosso o chiamato in causa in occasione degli interventi che intendono criminalizzarlo. Raramente vengono problematizzate le differenti motivazioni, i bisogni e il retroterra culturale nel quale si radicano e si sviluppano i comportamenti degli uomini che comprano sesso. Comprare sesso rimane una pratica trasversale ai gruppi sociali e alle classi d’età; non c’è condizione biografica, professionale, economica, culturale, che possa aiutarci a delineare un preciso identikit del cliente.
Anche rivolgendo la nostra attenzione ai soggetti che si prostituiscono, donne, uomini e transessuali, si evince una notevole eterogeneità in termini di biografie, vissuti, spinte o motivazioni del ricorso all’offerta di servizi sessuali. Tanto che se la categoria del «lavoro sessuale», quindi della prostituzione come sex work e delle prostitute come lavoratrici del sesso, presenta non pochi problemi di applicazione, sul versante opposto la categoria della «vittima» risulta poco adeguata al fine di spiegare in maniera esaustiva la molteplicità delle condizioni in cui si ritrovano le persone coinvolte nella vendita di servizi sessuali.
Uno sguardo più da vicino alle storie di vita, alle biografie ma sopratutto alla quotidianità di chi si prostituisce, ci consente di delineare vissuti e traiettorie diversificate, spesso in bilico tra scelta e costrizione, talvolta alla ricerca di faticosi e ambigui percorsi di emancipazione o miglioramento delle proprie condizioni di vita. Allo stesso tempo, ci sono storie segnate dalle violenze, che ci parlano di un quotidiano fatto di sfruttamento sistematico da parte di organizzazioni criminali, ma a volte anche da parte di conoscenti, familiari o persone con cui si ha un legame affettivo. In molti casi lo sfruttamento è operato dalle stesse persone che ne hanno reso possibile l’arrivo in Italia e che le accolgono sul nostro territorio; a tal proposito, è emblematico il modello che governa la ben nota «tratta» delle ragazze nigeriane condotte in Italia per essere sfruttate nel sex business. Sottrarsi allo sfruttamento nella prostituzione significa esporre sè e la propria famiglia in Nigeria al pericolo di ritorsioni; tutte sono vincolate alla restituzione del debito contratto per realizzare il proprio sogno di giungere in Occidente: in altre parole, l’assoggettamento di queste ragazze fa leva sul desiderio di lasciare il proprio Paese alla ricerca di migliori opportunità.
Lo sfruttamento assume forme differenti a seconda degli attori, dei contesti, delle modalità di assoggettamento e controllo che possono essere fondate sulla violenza, basate sull’inganno e sulla sudditanza psicologica o, come si è detto, sulla restituzione di un debito. Tuttavia, non sempre l’ingresso nella prostituzione è il risultato di una costrizione operata da terzi; al contrario, spesso il ricorso alla vendita di servizi sessuali viene intrapreso come uno strumento di emancipazione e indipendenza, una forma per sostenere la propria famiglia, una fonte di reddito in assenza di alternative e come risposta all’esclusione dal mercato del lavoro, può addirittura rappresentare un «lavoro» dignitoso perché più stabile, remunerativo e meno esposto al rischio di sfruttamento rispetto ad altri. In molti di questi casi, se ci avviciniamo all’idea del sex work perché la prostituzione viene scelta, occorre prendere in considerazione la forte stigmatizzazione che interessa ancora il fenomeno e che ha conseguenze rilevanti per le condizioni dei/delle sex worker, nonché i differenti livelli di autonomia nella gestione dei propri guadagni e nel controllo del proprio lavoro, come messo già in rilievo in passato da Pia Covre del Comitato per la difesa dei diritti civili delle prostitute.
Di recente, il dibattito sul tema prostituzione nel nostro Paese sembra sempre più schiacciarsi su discorsi proibizionisti, veicolati da istanze abolizioniste, ordinanze sindacali e proteste dei cittadini disturbati dalla presenza di prostituzione in strada. Se queste percepiscono il fenomeno semplicemente come fonte di degrado e insicurezza, mentre le ordinanze sindacali ottengono spesso di relegare nella clandestinità il fenomeno, marginalizzando ulteriormente chi ne è coinvolto, le istanze abolizioniste avanzate da alcune parti della politica e della società civile, più che interessate a ripulire le strade dal degrado, si mostrano intenzionate ad abolire ogni forma di compravendita di servizi sessuali; inoltre, giudicano favoreggiamento ogni tentativo di governo del fenomeno, come i «modelli di zoning» operativi in alcune città italiane, e ritengono che nella prostituzione siano coinvolte solo vittime, ragion per cui delegittimano e disconoscono ogni forma di sex work e di rappresentanza degli interessi dei/delle sex worker.
Ma tali visioni contraddicono il punto di vista che si è provato ad articolare in questo breve intervento e che si serve quell’esperienza di lavoro sociale realizzato su tutto il territorio nazionale a tutela delle vittime di tratta e sfruttamento nella prostituzione (si fa riferimento ai programmi previsti ai sensi dell’art. 18 TU immigrazione e dell’art. 13 della legge 228/2003); uno degli assi dell’intervento, quello relativo alle attività di emersione delle potenziali vittime, consente di entrare in prossimità e porsi in una preziosa posizione di ascolto delle persone coinvolte nei circuiti della prostituzione di strada. Si tratta di un’esperienza di lavoro sociale che fa diffidare da ogni intervento teso a reprimere, abolire, criminalizzare, marginalizzare il fenomeno, in quanto diventerebbe semplicemente più difficile entrare in contatto con chi si prostituisce, tutelare diritti, promuovere opportunità, contrastare lo sfruttamento e le violenze laddove presenti.
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