Ogni due anni, ma con l’eccezione del 2021 a causa della pandemia da Covid-19, l’Aisp (Associazione italiana di studi sulla popolazione) organizza un convegno scientifico per i suoi aderenti (noto come Popdays: in inglese perché aperto agli stranieri) e in quella occasione presenta il suo Rapporto sulla popolazione, sottinteso italiana, tradizionalmente pubblicato dal Mulino. I temi di approfondimento, però, variano a ogni edizione: immigrazione e presenza straniera nel 2017, istruzione nel 2019 (la lista completa si trova qui).
Protagoniste dell’edizione 2023 sono le famiglie (Rapporto sulla popolazione. Le famiglie in Italia. Forme, ostacoli, sfide), dove il plurale è imposto dalla natura stessa dell’oggetto di studio, al punto che persino orientarsi è diventato difficile.
Partiamo dalla definizione dell’Istat, secondo cui la famiglia è “costituita dall’insieme delle persone coabitanti legate da vincoli di matrimonio o parentela, affinità, adozione, tutela o affettivi”. Le famiglie unipersonali sarebbero dunque quasi un ossimoro, eppure in Italia esse rappresentano ormai la maggioranza relativa dei 25 milioni stimati sul territorio (33% nel 2020, in crescita), mentre le coppie con figli, quelle che probabilmente ognuno di noi ha in mente come idealtipo familiare, sono scese al 30% del totale, e continuano a calare.
La definizione dell’Istat è molto più ampia di quella che implicitamente si trova nell’articolo 29 della Costituzione, che “riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”. E non è un caso se, a fronte di una realtà che muta rapidamente, anche la giurisprudenza si è dovuta adattare, con difficoltà e contraddizioni, includendo tra le famiglie le coppie conviventi registrate come unioni civili, ma in parte anche quelle di fatto, e non sempre di sesso diverso e magari con figli, e poi le famiglie ricostituite (ad esempio in seconde nozze, con figli nati anche da precedente matrimonio).
Esistono, più nascoste, altre forme ancora, come ad esempio i Lat, o living apart together, cioè le coppie legate da un (più o meno forte) legame affettivo che però non convivono. Queste includono non solo le relazioni di giovani non ancora autonomi dalla famiglia di origine, ma anche, e sempre più, adulti che preferiscono non andare a vivere insieme, tipicamente a seguito di una precedente unione e dei suoi lasciti: case, figli ecc. Si tratta, insomma, di un intero “arcipelago di forme familiari” (p. 15) in continua evoluzione.
Gli otto capitoli del volume, molto curato e aggiornato, grazie anche alla stretta collaborazione con l’Istat (molti dei cui ricercatori figurano tra gli autori), coprono i temi più svariati: la dimensione media familiare si riduce (4,5 componenti nel 1861, appena 2,3 nel 2020), ci si sposa più raramente (spesso basta convivere) e a un'età più elevata, non di rado in seconde nozze, e lo si fa sempre più spesso con rito civile e in regime di separazione dei beni, probabilmente in previsione di una rottura, per separazione o divorzio che, in effetti, è sempre più frequente e anticipata, e progressivamente meno ostacolata dalla legislazione. Sono in aumento i casi di genitori soli (normalmente la madre, ma anche la configurazione padre-figli non è più così rara), quelli in cui è presente almeno un partner straniero, quelli in cui la donna è più anziana o più istruita dell’uomo (o tutte e due le cose), ...
Si sottolinea a più riprese l’insufficienza di un welfare pubblico che tanto (forse troppo) spende per gli anziani, ma che investe invece relativamente poco per le famiglie e per i giovani
Ma nel volume non si tratta solo di aspetti, per così dire, strutturali. Grande attenzione è dedicata, nella seconda parte, anche agli aspetti comportamentali: come si pongono le famiglie rispetto a grandi questioni come la diseguaglianza e la sua trasmissione alle generazioni successive, la disabilità dei figli e la solidarietà verso i componenti più deboli. Si sottolinea a più riprese qui, e nelle conclusioni, l’insufficienza di un welfare pubblico che tanto (forse troppo) spende per gli anziani, ma che investe invece relativamente poco per le famiglie e per i giovani.
Il legame genitori-figli è particolarmente forte in Italia. Questo è un bene, ovviamente, e lo si nota nel fatto che anche gli anziani che vivono soli sono però di solito molto vicini ai figli adulti, sia per la frequenza dei contatti (di persona o telematici) sia per la breve distanza geografica che separa gli uni dagli altri, non di rado abitanti addirittura nello stesso palazzo, ma in appartamenti separati. E tuttavia questo legame assume colorazioni meno rosee quando si traduce in una forte trasmissione del “patrimonio”: non solo economico, ma anche culturale e di reti di relazioni. E così avviene, ad esempio, che i figli dei laureati sono avviati ai più altri gradi di istruzione, mentre i figli degli “altri” partono, e sono destinati a restare, indietro.
Questa dinamica, oltre che ingiusta dal punto di vista delle giovani generazioni (alcuni componenti delle quali hanno evidentemente avuto il demerito di nascere nella famiglia sbagliata), è anche pericolosa, perché quando il meccanismo si rompe, e cioè quando i genitori si separano o divorziano, le conseguenze negative sui figli tendono a essere rilevanti, ad esempio in termini di prestazioni scolastiche o di benessere percepito. Beninteso, non è qui chiaro quanto queste conseguenze negative siano il frutto della separazione in sé, della probabile tensione tra genitori prima della rottura, o delle difficoltà (relazionali, economiche, logistiche e legali) cui si va incontro negli anni immediatamente successivi, ma il fenomeno emerge con una certa chiarezza, e merita di essere tenuto sotto controllo.
Come sempre avviene, anche questi processi (formare un’unione, magari con matrimonio, scioglierla, riformarla, ecc.) non sono omogenei nella società italiana, pur se le differenze non appaiono eclatanti e risultano, nel complesso in diminuzione. Conta l’origine italiana o straniera dei soggetti coinvolti (con differenziazione delle provenienze, ovviamente), il loro status socioeconomico, la loro residenza in città o in campagna, al Nord, al centro o al Sud. E contano altre cose, non direttamente trattate nel volume, ma note dalla letteratura: la religione, il tipo di famiglia di origine, lo stato di salute, ecc.
Il volume merita ampiamente la modesta spesa di 22€. Addirittura, se lo comprate ma poi non avete il tempo di leggerlo tutto (278 pagine, tutto compreso e molto scorrevoli), avrete speso bene i vostri soldi anche solo se vi fermerete alla lettura dell’introduzione, a firma dei curatori, Cecilia Tomassini e Daniele Vignoli, rispettivamente presidente e vicepresidente dell’Aisp. Vi si trova una succinta storia dell’evoluzione della famiglia in Italia negli ultimi vent’anni, con rapido, ma puntuale richiamo di tutti i punti più importanti che verranno poi più diffusamente trattati nei capitoli successivi. Il tutto, fuso in un quadro organico che riesce nel difficile compito di mantenere unità e coerenza in un insieme, quello delle famiglie, che per altri versi sembra invece esplodere.
Avrete speso bene i vostri soldi anche solo se vi fermerete alla lettura dell’introduzione, a firma dei curatori Cecilia Tomassini e Daniele Vignoli
Non so voi, ma a me la lettura del volume sulle famiglie ha fatto venire alla mente la questione della nazionalità: alcuni di noi le pensano entrambe come legate solo al sangue e alla discendenza. La realtà però, mi pare, sta lentamente, ma da tempo, evolvendo in un senso anche diverso: quello della libera elezione. Si fa famiglia con chi si sente in quel momento una affinità, senza necessariamente doversi legare per la vita ‒ ma dando un contributo, materiale e morale, fino a che si fa parte di quella “comunità”, e si rimane quindi fedeli a quel patto federativo.
Occorre, certo, creare un difficile equilibrio tra diritti e doveri dei membri di queste (micro) comunità, ma il peso della sfera individuale emerge sempre più nettamente. Per le famiglie, la strada è ancora lunga, ma appare tracciata. Per la questione della nazionalità, invece, ... ci stiamo lavorando.
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