Le elezioni di domenica prossima decideranno il successore di Angela Merkel al cancellierato. I commentatori non prevedono significativi mutamenti nella politica perseguita nei sedici anni del suo governo, ma c’è incertezza sulla possibilità che il successore possa determinare una formula politica diversa dalla tradizionale Grosse Koalition. Infatti, da qualche tempo i due partiti maggiori (Spd e Cdu/Csu) hanno accentuato la loro contrapposizione, insistendo sui loro specifici tratti identitari.

Aspirante «naturale» alla cancelleria è Armin Laschet che dal gennaio 2021 è presidente dell’Unione cristiano-democratica di Germania (Cdu), imponendosi con il 52,8% nel voto tra gli iscritti contro Friedrich Merz. È ministro presidente della Renania Settentrionale-Vestfalia ed è il candidato ufficiale dei cristiano-democratici per la successione di Angela Merkel, ma deve fare i conti con il socialdemocratico Scholz che gode di buone chance. La Spd lo ha scelto come candidato in grado di unire le diverse anime del partito socialdemocratico in virtù dell’esperienza accumulata nella risposta alla crisi aperta dalla pandemia di Covid-19. Da ministro delle Finanze ha acquisito un rilevante ruolo nazionale nella messa a punto di pacchetti di stimolo economici interni e della nuova governance economica europea culminata nell’avvio del debito mutualizzato comunitario con Next Generation-Eu.

Nell’ascesa di Scholz ha giocato un ruolo importante anche la difficoltà che hanno incontrato i suoi avversari nell’attaccarlo. Laschet e tutta la Cdu hanno cercato di impaurire l’elettorato moderato, affermando che il voto per Scholz sarebbe stato, alla fine, un voto per l’ala sinistra del partito. Questa linea di attacco si è dimostrata poco efficace: certamente Scholz ha definito un programma fortemente orientato in senso sociale, ma, in qualità di vicecancelliere e ministro delle Finanze, ha portato avanti una linea moderata sia in Germania che nell’Unione europea. Mentre la Spd ha riguadagnato terreno grazie a questo suo riformismo moderato, la Cdu ha continuato a insistere su motivi conservatori, giocando sul vecchio spauracchio del candidato «rosso» e «alleato segreto» dei paesi del Sud Europa che sfruttano il povero contribuente tedesco. Ma gli ultimi sondaggi dimostrano (come ha notato Tonia Mastrobuoni) che la carta che la Cdu/Csu ha cercato di giocare, il rischio di «un’onda rossa», di un governo tra socialdemocratici, Verdi e Linke, non funziona. I tedeschi non ci credono o non sono particolarmente terrorizzati dalla prospettiva di un governo progressista. E sembrano aver capito che Scholz, che arriva dalla destra del partito socialdemocratico, non ha alcuna intenzione di fare un’alleanza con la Linke.

Come hanno scritto diversi osservatori, i motivi del drastico calo dei consensi alla Cdu/Csu (uno degli ultimi sondaggi dà il partito di Merkel e di Armin Laschet sotto il 20%) sono molteplici e non tutti imputabili agli errori del candidato. Dal 2018, quando Merkel ha lasciato la guida della Cdu, sono cambiati due presidenti e nessuno di loro è riuscito a ridare la stessa sicurezza e lo stesso senso d’unità al partito. La stessa candidatura di Armin Laschet è avvenuta nel silenzio e nel disinteresse più totale della base e dei vertici.

Ciò non toglie che Laschet abbia peggiorato le cose, indebolendo ulteriormente la propria credibilità, sia sul piano comunicativo e con l’atteggiamento ondivago nei confronti delle politiche ambientali, sia con una serie di errori nella sua veste di governatore in occasione delle inondazioni nel luglio scorso (ritardo dei soccorsi, interventi insufficienti), fino alla gaffe della risata durante la commemorazione delle vittime.

A fronte di queste incertezze, le proposte della Spd e dei Verdi, che potrebbero governare insieme, appaiono più chiare e più aderenti ai cambiamenti in atto in Germania.

La possibilità che, per la prima volta dal 2005, in Germania la Cdu non vada al governo è realistica. In ogni caso, è evidente che qualcosa stia cambiando nella politica tedesca, a cominciare dai rapporti di forza

Se ci spostiamo alla dimensione europea e internazionale, quali scenari dovrà affrontare il successore della Merkel? Di fronte a quali problemi si troverà?

Ne isolo soltanto alcuni: la questione energetica, il rapporto tra Germania e Francia e le sollecitazioni rivolte alla Germania perché assuma un ruolo geopolitico più attivo, compresa la difesa militare.

1. La Germania ha ritenuto di affrontare il problema energetico (senza la pretesa di risolverlo) con l’oleodotto Nord Stream 2, secondo braccio del gasdotto controllato da Gazprom e fortemente voluto dalla Germania, che collega direttamente Russia e Germania, bypassando altri Paesi dell’Europa orientale. L’oleodotto è considerato vantaggioso sia dai tedeschi sia dai russi, ma è giudicato negativamente dagli Stati Uniti e dalla Francia, oltre che da altre nazioni europee centro-orientali. Lo considerano infatti una pericolosa dipendenza energetica tedesca – e quindi europea – dalla Russia.

2. L’equilibrio interno all’Unione europea è largamente condizionato, se non determinato, dal rapporto particolare tra Francia e Germania, confermato dal Trattato di Aquisgrana del gennaio 2019, sottoscritto dal presidente francese Emmanuel Macron e dalla cancelliera tedesca Angela Merkel. I due leader si sono proposti come interpreti e protagonisti del rilancio della «sovranità europea» per rifondare un’Europa unita, democratica dotata di autonomia strategica.

La concreta attuazione dell’«autonomia strategica» europea, insistentemente sostenuta soprattutto dal governo francese, sembra incontrare nella classe politica tedesca una certa reticenza e resistenza. In ogni caso l’autonomia strategica europea richiede investimenti militari, responsabilità e disponibilità a correre rischi di guerra nelle regioni vicine e meno vicine. La Germania e l’Ue in generale sono davvero disposte ad esporsi a tali rischi?

3. In questo contesto si pone la questione decisiva del ruolo della Nato, alla cui assoluta centralità e insostituibilità la Germania non intende rinunciare, a differenza della Francia che ha un atteggiamento più elastico e possibilista. Da parte francese c’è la volontà di mantenere un margine di autonomia rispetto alla Nato, considerata troppo dipendente dagli Stati Uniti. La Germania invece intende affidarsi interamente alla gestione della Nato sotto la direzione Usa verso i quali desidera mantenere un rapporto positivo senza riserve.

L’esito delle elezioni tedesche del prossimo 26 settembre non dovrebbe cambiare sostanzialmente questa impostazione. Anche nel caso di un successo particolare dei Verdi. Una loro affermazione rafforzerebbe senza dubbio la politica ambientale all’interno del Paese, ma non modificherebbe in modo rilevante la politica estera. Salvo probabilmente una maggiore intransigenza critica nei confronti della Cina e della Russia e quindi l’indisponibilità a tollerare ulteriormente il sacrificio dei diritti umani a vantaggio di reciproci benefici economici come talvolta ha fatto il pragmatico moderatismo merkeliano.

Rimane il problema più impegnativo, quello geopolitico. Da tempo, specificatamente nei convegni internazionali sulla sicurezza, la Germania è sollecitata a impegnarsi maggiormente e direttamente sul piano geopolitico.

Le si imputa addirittura la responsabilità del venir meno dell’idea forte, classica, unitaria di Occidente dando spazio a un unilaterale ripiegamento americano.

La Westlessness ("il venir meno dell’Occidente") di cui si parla è innanzitutto Germanlessness, la latitanza della Germania di fronte ai grandi problemi mondiali

In questa ottica la Westlessness («il venir meno dell’Occidente») di cui si parla è innanzitutto Germanlessness, la latitanza della Germania di fronte ai grandi problemi mondiali, con la conseguenza che l’Europa come tale non è più in grado di influire significativamente sull’ordine internazionale. Particolarmente inadeguata appare la forza militare tedesca se è commisurata al peso economico e politico che la Germania ha in Europa. È una situazione insostenibile nel clima di insicurezza generale dominante. Solo un maggiore investimento geopolitico e militare tedesco potrebbe contribuire a dare peso e ruolo geopolitico adeguato all’Europa nel sistema internazionale delle «grandi potenze» dominanti, Stati Uniti, Cina e Russia.