L'India dei narco-coltivatori. Da sempre, l’India funge da ponte per il traffico di oppio, eroina e derivati provenienti dall’Asia Centrale e dal Sud Est asiatico. La posizione protesa sulle vie navali che solcano l’oceano Indiano e il mare Arabico, l’atavica corruttibilità del sistema e la voracità del mercato interno hanno facilitato il consolidamento delle rotte del narcotraffico, tanto dal Triangolo d’Oro (Birmania, Laos e Thailandia) quanto dalla Mezzaluna d’Oro (Iran, Pakistan e Afghanistan). Sin dalle prime battute del nuovo Millennio, però, l’India si è imposta anche come nuovo Eldorado per la produzione e la raffinazione. Lo si evince da una recente analisi pubblicata dalla rivista indiana "Tehelka", supportata dai dati del Narcotic Central Bureau (NCB) di New Delhi. Limitandoci ai numeri dell’NCB, il decennio appena concluso ha visto un aumento inesorabile dei ritrovamenti di coltivazioni illegali, passate dai 736 ettari del 2008,ai 3000 ettari scovati e distrutti tra fine 2009 e inizio 2010, sufficienti a produrre circa 5.000 chilogrammi di eroina pura. Si tratta ovviamente della punta dell’iceberg, sotto la quale si cela un fenomeno almeno dieci volte maggiore. Le zone scelte dai trafficanti per avviare le colture sono situate soprattutto a Nord, dal Kashmir al West Bengal, inclusi Himachal Pradesh, Uttarakhand, Bihar, Jharkhand, Manipur e Arunachal Pradesh.
Le raffinerie vengono fondate e avviate con una certa velocità, sostenute da "consulenti" specializzati che organizzano veri e propri corsi a domicilio per insegnare le tecniche della produzione di eroina e morfina, alla modica cifra di 50.000 rupie (800 euro). Se consideriamo la giovane età dell’industria dell’oppio in India e la diffusione di piccoli laboratori tutt’altro che specializzati, è presto spiegato come mai l’eroina indiana risulti mediamente meno pura (dal 50% al 70%) di quella afghana (dal 60% all’85%) e di quella proveniente dal Triangolo d’Oro.
La qualità minore e il prezzo più basso spingono i trafficanti a destinare l’eroina di provenienza indiana verso le grandi metropoli interne, per alimentare il mercato nazionale, caratterizzato da un numero di consumatori ormai oltre "il punto di non ritorno", così come affermato dal Centro nazionale per la disintossicazione di New Delhi. L’eroina spacciata in India viene tagliata anche 15 volte, con sostanze di ogni genere prima di essere iniettata, tanto che da 1 Kg di prodotto uscito dalla raffineria si ricavano anche 15 Kg di dosi finali. Il rischio è evidente. Sono frequenti infatti i casi di decessi dovuti non tanto a un sovradosaggio, quanto alla qualità della droga. Trattandosi di India, però, la distribuzione dell’eroina si adegua al collocamento sociale degli utilizzatori, per cui tra quelli di "jatii" più alta viene distribuito un prodotto di qualità maggiore, tagliato poco e meglio, quindi relativamente sicuro, sebbene più costoso. Diversamente, nelle zone povere e marginali delle città trova spazio l’eroina peggiore, quella trattata più e più volte, spesso letale.
La città di Lalgola, in West Bengal, distante una manciata di chilometri dal confine con il Bangladesh, è considerata la capitale indiana del traffico di eroina. Qui operano molte organizzazioni in grado di sopravvivere grazie ai contatti presenti dall’una e dall’altra parte della frontiera, oltre la quale i narcotrafficanti riescono a sfuggire alle autorità in caso di guai. Per decenni, Lalgola ha funzionato da centro di smistamento della merce introdotta dal Bangladesh, divenendo poi un’area di coltivazione e raffinazione. Molti contadini del posto possiedono terreni in India e in Bangladesh, per cui, in base a un accordo sui confini, godono di libero accesso oltre la frontiera.
In questa remota parte del subcontinente indiano, il business dell’oppio è talmente radicato nel territorio da essere considerato una normale attività agricola. Lo dimostrano le rivolte popolari avvenute nel recente passato, in seguito alla distruzione di alcune coltivazioni da parte del NCB. Sollevazioni che hanno coinvolto soprattutto proprietari terrieri, braccianti ed estrattori, ma sostenute anche da alcuni esponenti locali del governo, ignari del fatto che in India la produzione dell’oppio sia considerata illegale.
Riproduzione riservata