Il mito del “ribellu” è ancora vivo, seppur sotto nuove spoglie: in un video su TikTok del 6 marzo un gruppo di giovani – molti dei quali minori di sedici anni – corrono inneggiando alla nazione còrsa tra due ali di folla plaudente nel pieno centro di Corte. I loro volti sono coperti da passamontagna, portano fumogeni e sventolano la Testa Mora. Il ribellismo che nei primi giorni di marzo ha attraversato la Corsica ha però assunto ben altre forme, anche violente, con l’assalto alle prefetture e ai tribunali, ad Aiaccio, Bastia, Corte, Calvi e altri centri dell’isola.
Era da più di un ventennio che le sedi delle istituzioni francesi non finivano nel mirino dei manifestanti. Nella passerella di Corte è racchiusa tutta la mitologia rivoluzionaria dei ribelli, una narrazione che continua a dominare il discorso nazionalista e che ha forte presa sulle giovani generazioni. L’isola ha mostrato, una volta di più, il suo volto nazionalista, emerso già nelle elezioni del 2015 e del 2017 con la vittoria della coalizione autonomista e indipendentista Pe’ a Corsica di Gilles Simeoni e Jean-Guy Talamoni. A innescare questa rabbia è stata l’aggressione ai danni di Yvan Colonna avvenuta il 2 marzo nella prigione di Arles.
Colonna, militante indipendentista, membro dell’esecutivo della Consulta di i Cumitati Naziunalisti all’inizio degli anni Ottanta, vetrina legale del Fronte di liberazione naziunale corsu (Flnc), è stato condannato per l’omicidio del prefetto Claude Erignac, avvenuto ad Aiaccio il 6 febbraio 1998. Colonna era divenuto il ricercato numero uno in Francia dal 22 maggio 1999, quando aveva intrapreso la via della clandestinità. Il giorno prima, al termine di un interrogatorio a Parigi, quattro uomini avevano confessato il loro coinvolgimento nell’omicidio indicando la partecipazione di Colonna come esecutore materiale del crimine. Alla fine di maggio furono incriminati Pierre Alessandri, Vincent Andriuzzi, Alain Ferrandi, Marcel Istria, Didier Maranelli, Martin Ottaviani e Joseph Versini e un ottavo, Jean Castela, fu raggiunto nel dicembre 1999. Ferrandi e Alessandri furono condannati all’ergastolo per omicidio, gli altri a pene da quindici a trent’anni per complicità. Andriuzzi e Castela, ritenuti non coinvolti nel delitto, furono assolti nel 2006. Colonna fu arrestato il 4 luglio 2003 in un ovile vicino al villaggio di Olmeto, nel Sud Ovest della Corsica. In quella stessa giornata l’allora ministro dell’interno Nicolas Sarkozy dichiarò: “Abbiamo arrestato l’assassino del prefetto”.
Dopo otto anni e tre processi, Colonna fu condannato il 20 giugno 2011 all’ergastolo. Proprio in una prigione francese è stato assalito da un altro carcerato di origine camerunense, Franck Elong Abé, detenuto per terrorismo, e ha riportato ferite così gravi da ridurlo in coma. All’origine della collera dei nazionalisti si annida l’idea secondo cui lo Stato ha avuto una responsabilità non trascurabile in questa aggressione. Le manifestazioni sono infatti state dominate dagli striscioni e dalle scritte sui muri con un vecchio slogan: “Statu francese assassinu”. La protesta è nata in difesa di quelli che vengono considerati “prigionieri politici”: Yvan Colonna, Alain Ferrandi e Pierre Alessandri, che hanno lo status di “prigionieri particolarmente attenzionati” ( détenus particulièrement signalés, dps), detenuti a cui è negato il diritto a un trasferimento nell’isola dal momento che le prigioni corse non sono adatte ad accogliere questo tipo di carcerati. Come è stato possibile – si domandano in molti – che si sia attentato alla vita di un dps come Colonna? E che, per di più, a farlo sia stato un terrorista jihadista? A protestare sono stati soprattutto giovani liceali che erano troppo piccoli o non erano nati quando avvennero i fatti del 1998, ma per i quali Yvan Colonna è l’emblema della vittima e del martire, un uomo che ha sempre dichiarato la propria innocenza rigettando tutte le accuse.
A protestare sono stati soprattutto giovani liceali che non erano nati quando avvennero i fatti del 1998, ma per i quali Yvan Colonna è l’emblema della vittima e del martire
Ma c’è molto di più, come del resto ha dichiarato Gilles Simeoni invitando il governo di Parigi ad aprire un nuovo ciclo politico e ad ammettere che esiste una questione còrsa. All’origine di queste manifestazioni c’è il desiderio – nei fatti frustrato – di poter negoziare con il governo in virtù della legittimità democratica derivata dalla vittoria nazionalista alle elezioni (basti pensare all’incremento del consenso che ha raggiunto il 68% nel 2021).
Le richieste dei nazionalisti toccano quattro punti: un’estensione dell’autonomia, che significa l’inclusione della Corsica nella Costituzione, e un nuovo statuto per la collettività, che pur non infrangendo il principio dell’indivisibilità della Repubblica, consentirebbe all’isola di dotarsi di uno statuto speciale per tre settori chiave, ossia la proprietà, la fiscalità e la lingua. La co-ufficialità di lingua còrsa e francese sul territorio insulare, ovverosia il suo riconoscimento nell’ordinamento giuridico, è considerato l’unico antidoto efficace per arrestare il processo di sparizione dell’uso quotidiano del còrso; il riconoscimento dello status di residente attribuirebbe solo a coloro che risiedono nell’isola da alcuni anni il diritto di acquistare beni immobiliari, così da frenare la speculazione; infine si ambisce all’amnistia per i prigionieri politici, ossia i detenuti còrsi condannati per terrorismo, o quantomeno un loro “ricongiungimento familiare”, ossia un trasferimento nell’isola.
La violenza urbana viene giustificata agli occhi di chi protesta dal fatto che non viene rispettata la legittimità democratica. Chi sostiene questa visione ritiene che soltanto prove muscolari possano dare frutti
La violenza urbana viene perciò giustificata agli occhi di chi protesta dal fatto che non viene rispettata la legittimità democratica. Chi sostiene questa visione ritiene che soltanto prove muscolari possano dare frutti, come accadde nel 1972, quando furono indette manifestazioni, numerosissime e pacifiche, che durarono mesi per denunciare lo sversamento dei rifiuti tossici della Montedison nel canale di Corsica, a qualche decina di miglia dal Cap Corse. Il cosiddetto affaire des boues rouges (“fanghi rossi”) si risolse però soltanto quando la protesta pacifica divenne violenta, con l’attentato de La Spezia (14-15 settembre 1973), rivolto contro una nave della Montedison e rivendicato dal movimento clandestino Fronte Paisanu Corsu di Liberazione (Fpcl).
Solo a seguito delle proteste il primo ministro Jean Castex ha revocato lo status di dps ad Alain Ferrandi e a Pierre Alessandri, corroborando l’idea che l’escalation di violenza degli ultimi giorni abbia prodotto più risultati rispetto al dialogo sviluppato dall’esecutivo còrso con lo Stato nel corso di sette anni.
Lo slogan “Statu francese assassinu” non è nuovo: venne impiegato per la prima volta negli anni Ottanta, in particolare a partire dal 1983, dopo l’assassinio del nazionalista Guy Orsoni, fratello di Alain, che ricopriva un ruolo apicale nell’Flnc. Gli slogan non hanno valore per ciò che esprimono in sé, piuttosto per ciò che suscitano emotivamente: l’impiego di antichi adagi anche da parte dei più giovani rileva come la narrazione nazionalista sia divenuta dominante.
Molti manifestanti non hanno vissuto in prima persona la stagione delle nuits bleues (“notti blu”), ossia gli attentati dinamitardi simultanei che avvenivano nell’arco di una sola notte contro le seconde case dei francesi, simbolo della speculazione edilizia e degli effetti dannosi del turismo di massa; non erano nati all’epoca dei fatti di Aleria del 21 e 22 agosto 1975, quando un gruppo di militanti dell’Azzione per a Rinascita corsa (Arc), guidati da Edmond Simeoni, occupò l’azienda di un viticoltore per denunciare una frode alimentare e più in generale la politica statale di attribuzione con agevolazioni fiscali di terreni ai pieds noirs, i francesi emigrati dall’Algeria dopo l’indipendenza del Paese; non hanno assistito alle conferenze stampa organizzate dai membri dell’Flnc nell’interno dell’isola per sensibilizzare l’opinione pubblica intorno alla questione còrsa. Tuttavia quei giovani ne hanno sentito parlare tra le mura di casa; sanno che l’attuale presidente del consiglio esecutivo della Corsica, Gilles Simeoni, è figlio di Edmond, padre fondatore del nazionalismo còrso, ed è stato uno degli avvocati di Colonna durante i processi. Hanno visto l’immagine di Colonna affissa sui muri così come la scritta “Gloria a te Yvan” e quel ritratto di giovane “ribellu” ha assunto per loro una valenza mitologica: non è un eroe, ma incarna lo spirito di un’epoca di confronto violento con lo Stato e nella sua sorte intravedono la vendetta del governo di Parigi. Nell’immaginario dei giovani manifestanti il pastore di Cargèse è il protagonista del fumetto, Le Procès Colonna, firmato dal giornalista Dominique Paganelli e dal disegnatore Tignous, ispirato al primo processo (12 novembre-13 dicembre 2007) che vide come imputato Colonna.
Di qui deriva il senso di ingiustizia avvertito dai giovani manifestanti e la sempre più ferma convinzione che l’aggressione a Colonna sia rivelatrice del fallimento dello Stato. È proprio da questa levata di scudi da parte di una giovane generazione che si intravede in prospettiva, secondo gli osservatori isolani, la rinascita dell’idea di autonomia.
Riproduzione riservata