Questo articolo fa parte dello speciale La guerra in Ucraina
Il 16 maggio 2022 la Svezia decide ufficialmente di fare domanda per diventare membro dell’organizzazione del Trattato dell’Alleanza Atlantica del Nord (Nato) seguendo di appena quattro giorni la risoluta decisione della Finlandia di fare lo stesso, in un processo guidato dalla Prima ministra finlandese Sanna Marin. Nella conferenza stampa che ha ufficializzato la decisione, la Prima ministra svedese Magdalena Andersson (detta Magda) dichiara che con una adesione alla Nato “la soglia di conflitti militari si innalza in Svezia e nella regione e la forza di prevenzione al conflitto sarà rafforzata in tutta l’Europa settentrionale rafforzando in questo modo la sicurezza della Svezia e del popolo svedese”. Pare impossibile che parole come ‘conflitti militari’, ‘rafforzato’ e ‘sicurezza’ provengano dalla leader del partito socialdemocratico svedese che è stato il primo e più stoico sostenitore del non-allineamento e della neutralità, una linea partitica perseguita con perseveranza almeno dal secondo dopoguerra. Le parole di Magdalena Andersson stridono in particolare con quelle di Olof Palme, il Primo ministro socialdemocratico ucciso in circostanza misteriose nel 1986, che definì la Svezia “una forza per il bene nel mondo” promuovendo valori come la pace e il disarmo globale.
L’attaccamento ai princìpi di non-allineamento e neutralità sono stati per la Svezia una pietra miliare della propria identità, nonché una delle chiavi del suo successo come democrazia
L’attaccamento ai princìpi di non-allineamento e neutralità sono stati per la Svezia e in particolare per il suo partito dominante – il partito socialdemocratico – una pietra miliare dell’identità svedese nonché una delle chiavi del suo successo come democrazia. Questo orientamento volto al non allineamento aveva reso l’opinione pubblica svedese molto contraria all’ingresso nell’Alleanza, al punto che, nel 2015, ancora il 50% degli svedesi era favorevole a continuare con l’approccio di non-allineamento e contraria all’adesione all’alleanza atlantica. Un simile atteggiamento è molto cambiato nella primavera del 2022, quando addirittura il 47% degli svedesi si è improvvisamente dichiarato favorevole all’adesione. Si noti che in Svezia il supporto è comunque molto meno compatto che in Finlandia, dove addirittura il 76% della popolazione si è dichiarato favorevole all’adesione. Eppure, nel giro di poco più di tre mesi il Paese non allineato, che non è coinvolto in conflitti da circa due secoli, ha cambiato la sua posizione radicalmente. Che cosa è accaduto dunque? Una configurazione di elementi vecchi e nuovi hanno contribuito ad accelerare questo processo.
La neutralità svedese ha significato cose diverse attraverso i suoi 200 anni di pace, che non sempre hanno però rispecchiato una vera neutralità. Durante la Seconda guerra mondiale la neutralità e il non allineamento di Stoccolma hanno portato le istituzioni e i cittadini a salvare e mettere in sicurezza centinaia di migliaia di ebrei, ma le autorità svedesi dell’epoca hanno anche permesso alle truppe della Germania nazista di transitare sulle loro linee ferroviarie per andare in Finlandia a combattere contro l’Unione Sovietica. Successivamente, nel secondo dopoguerra la Svezia non è mai stata veramente non allineata, nel senso che si è sempre schierata con il blocco occidentale.
Il Paese era comunque già molto integrato nella Nato anche prima della recente decisione di aderire. Le truppe svedesi partecipano regolarmente a esercitazioni in seno all’Alleanza – come, ad esempio, Cold Response in Norvegia – ma anche operazioni come la missione Nato in Afghanistan, cui la Svezia ha partecipato con più di 200 soldati, dispiegando le proprie truppe nel Nord del paese insieme al contingente tedesco.
Negli ultimi dieci anni, ci si è poi iniziati a rendere conto che la dottrina Hullqvist – dal nome del ministro della Difesa svedese in carica dal 2014 – forse non bastava. Con la crescita della minaccia russa sin dal 2008, poi accelerata nel 2014, Hullqvist – tradizionalmente contrario all’accesso – ha iniziato a promuovere l’idea che cooperando in maniera bilaterale con molti Paesi della Nato e non, qualcuno avrebbe dato protezione e copertura nel caso di un attacco militare e non. Hullqvist aveva messo particolarmente l’accento sulla cooperazione con la Finlandia, sperando che questo avrebbe permesso alla Svezia di continuare a mantenere un profilo di non allineamento. Dopo il 24 febbraio e l’aggressione della Russia di Putin all’Ucraina, ma anche con tutti gli avvertimenti diretti alla Svezia stessa, ci si è resi conto che che essere fuori da un’alleanza militare aveva come conseguenza la mancanza di protezione.
Davanti al rapido aumento della minaccia russa, la Svezia si è resa conto che le alternative all’ingresso nell’Alleanza non erano davvero perseguibili
A questo si è poi aggiunto il fatto che la Svezia, davanti al rapido aumento della minaccia russa, si è resa conto che le alternative all’ingresso nell’Alleanza non erano davvero perseguibili. Lo status quo – come abbiamo detto – non era una opzione. L’alternativa sarebbe stato un aumento del budget svedese alla difesa al 3%, che avrebbe però richiesto 4 o 5 anni almeno, lasciando nel frattempo il Paese con una limitata protezione. Infine, la risolutezza della Finlandia ha dato poche alternative alla Svezia: rimanere fuori dalla Nato come unico Paese del Nord Europa nell’attuale contesto di insicurezza contesto avrebbe certamente potuto rappresentare un’alternativa. Ciliegina sulla torta, ad accelerare il tutto si è poi prospettato lo spettro elezioni previste per il settembre 2022. Il partito socialdemocratico e il piccolo Vänster Partiet (letteralmente Partito della sinistra, che può contare su circa l’8% dei seggi in Parlamento, a sinistra dei socialdemocratici) erano gli unici due partiti contrari all’ingresso nella Nato. Arrivare campagna elettorale e alle elezioni con una questione di tale portata irrisolta, in un momento come questo sarebbe stato poco saggio. Ecco quindi che i socialdemocratici svedesi hanno deciso che fosse forse meglio eliminare la questione, chiedendo l’adesione già in primavera. A quel punto la questione aveva soltanto più un ostacolo principale: il consenso all’interno dello stesso partito democratico, che era molto diviso, ma allo stesso tempo il partito più strutturato e anche quello con tendenze più autocratiche e maggiori risorse. Così il problema del consenso è stato risolto velocemente. La questione è poi stata discussa in maniera spedita in Parlamento, dove tutti i partiti hanno votato a favore, con l’eccezione del Vänster Partiet.
Che cosa accadrà, adesso? Tutti i Paesi membri della Nato devono approvare le domande di Svezia e Finlandia. Al momento tutti sembrano essere entusiasti, Turchia a parte. Perché entusiasti? La Svezia (come pure la Finlandia) ha molto da dare, pur essendo un Paese piccolo. Innanzitutto, entrambi i Paesi rafforzano la posizione strategica della Nato in un contesto in cui essa si trova a giocare il ruolo per cui fino a pochi anni fa appariva obsoleta, vale a dire contenere la Russia. Innanzitutto la Svezia ha all’interno dei propri confini l’isola di Gotland che, come nel 2017 ebbe a dire un generale a quattro stelle dell’esercito statunitense, è una sorta di “portaerei inaffondabile in mezzo al Baltico”, una risorsa molto utile in caso di confronto militare. Inoltre, la Svezia ha un esercito molto professionale, dei caccia all’avanguardia, forze speciali e sottomarini di ottima qualità.
Insomma, molti parlavano da mesi anche di una sorta di “gold card”, indicando con questa espressione un accesso veloce e diretto alla Nato. La Turchia pare porre resistenza per via delle relazioni strette della Svezia con il Pkk, ma questo al momento ha l’aria più che altro di rappresentare una merce di scambio che il corpo diplomatico svedese sta cercando di negoziare. Tutto ciò probabilmente porterà a un rallentamento della procedura di adesione, ma un esito infelice del processo sembra improbabile. Se da un lato l’adesione renderà probabilmente la Svezia e la Finlandia più sicure, non c’è dubbio che oggi non possa che accrescere la forza dei venti di guerra e della militarizzazione nel Baltico.
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