Renzi irride, con ragione, alla «santa alleanza» che si è formata contro di lui e che unisce una specie di armata Brancaleone estesa dall’estrema destra all’estrema sinistra, passando anche per il Movimento 5 Stelle, che non si sa bene dove collocare nella geografia tradizionale della politica. Tuttavia, quando si formano questo genere di alleanze qualche ragione ci deve pur essere ed è con questa che ci si deve misurare. Aggiungiamoci che sarebbe il caso di immaginare di contrapporre a un’alleanza una contro-alleanza, perché questa è la logica delle guerre, anche di quelle politiche.
Cerchiamo dunque di capire su che cosa si fonda la compagine trasversale che ha come unico scopo quello di mandare a casa Renzi. Richiama in parte la dicotomia ben nota, quella del pro o contro Berlusconi, che per un ventennio ci ha afflitti senza produrre gran che, in quanto anche allora l’antiberlusconismo metteva insieme un po’ di tutto. Con una differenza con l’oggi, che però non è di poco conto: quella ammucchiata stava tutta dentro il recinto della sinistra. Inclusa quella moderata, che inclinava al centro, ma che sempre sinistra si sentiva.
Oggi il fronte antirenziano mette insieme Salvini e i Cinque Stelle, l’estrema sinistra e Brunetta. Non ha quindi più un collante ideologico, per quanto questa parola possa essere stata manipolata ai vecchi tempi. È, tecnicamente, un’alleanza reazionaria, nel senso che unisce tutte quelle forze che temono la vittoria di coloro che segnano un cambio di stagione politica e vogliono reagire a ciò che per loro rappresenta un pericolo.
Si obietterà: ma i Cinque Stelle sono il massimo esempio dei fautori di un cambio di stagione politica. Certo, solo che essi si rendono conto che proprio per questo Renzi è il loro avversario mortale, perché se passa davvero il consenso a quel tipo di «riforma» lo spazio per la loro «rivoluzione» si assottiglierà progressivamente. Per questo nella fase attuale a loro va bene concorrere a buttar giù il leader del cambiamento. Poi si vedrà.
Ci si potrebbe chiedere che interesse abbiano invece gli altri componenti della santa alleanza a combattere una battaglia che rischia semplicemente di portare al potere i pentastellati. Senza offesa, questa è una vecchia inclinazione della destra italiana, che si ritiene sempre in grado di usare «i nuovi» come testa di ariete per poi godere lei dei frutti dello sfondamento. L’ha fatto ai tempi del fascismo, l’ha fatto ai tempi della Democrazia cristiana, e nell’un caso come nell’altro, con tutte le differenze storiche e ideologiche, ci mancherebbe, le è andata male. Tuttavia, proprio per la conoscenza di queste dinamiche, Renzi farebbe bene a valutare più attentamente il rischio che corre, dapprima in termini di colpo alla sua immagine per i risultati delle amministrative, poi in maniera più diretta col referendum di conferma della riforma istituzionale. Oggi il premier cerca di dire che non si tratta di un plebiscito sulla sua persona, ma perché sia davvero così deve fare qualcosa di più: rendere davvero credibile che esiste un fronte riformista che si raccoglie attorno alle sue proposte, persino attorno alla sua leadership, ma che come tale ha una propria identità, una struttura, delle appartenenze che vanno oltre le donne e gli uomini del suo cerchio magico e dintorni.
Qui c’è una indubbia debolezza di Renzi, che aveva cominciato a impostare la novità di questa larga alleanza alle Leopolde, ma più come spettacolo coi testimonial di rito, che come compagine di lavoro a cui si riconoscevano spazi e poteri di intervento autonomi. Se uno dei punti di forza della sfida del M5S è di presentarsi come il ricambio contro una struttura di distribuzione del potere che alla fine premia sempre gli stessi circuiti (giovani o meno giovani non ha nessuna importanza), Renzi deve mostrare che è cosciente della sfida e che è al lavoro per avviare quel ricambio complessivo delle classi dirigenti che è ciò di cui il nostro Paese ha realmente bisogno. È questa la grande «intesa» con il Paese che vuole cambiare in maniera ordinata e consapevole che deve contrapporre alla «alleanza» che quel cambiamento non vuole o che lo vuole in maniera avventurosa e al buio.
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