La Riconquista. Perché abbiamo perso l’Europa e come possiamo riprendercela (Luiss University Press, 2020) che è prima di tutto un manifesto intellettuale più che un tradizionale testo di economia, pur fornendo una narrazione critica, rigorosa ed esaustiva della storia dell’Unione europea dalle origini ai giorni nostri. Il nuovo libro di Francesco Saraceno, da una prospettiva di centrosinistra, ha il pregio di proporre l'Europa come terreno di lotta sottraendolo allo scontro tra le molteplici e avverse tifoserie, da quelle sovraniste, a quelle degli eurocrati e lo fa adducendo argomentazioni assai rilevanti che dovrebbero essere al centro del dibattito politico. Un dibattito che, infatti, sulla questione europea, risulta incapace, per dirla con Žižek, di “rischiare quel ‘salto di fede’ che rompa i legacci del ‘senso comune’ costruito intorno alla retorica del debito pubblico”. Il libro offre spunti importanti per spiccare quel “salto di fede” necessario a riallacciare i fili del dialogo sia tra gli Stati membri che, all’interno dei singoli Stati, tra i governi e tutte quelle fasce di popolazione che hanno subito nella carne viva le conseguenze delle politiche di austerity a cui l’Europa si è costantemente inspirata in questo ventennio, denotando una certa tendenza “all’autolesionismo”. Quelle fasce di popolazione, spesso precarie e sottopagate, in cui sempre di più albergano posizioni antieuropeiste.
La riconquista si caratterizza per una forte tensione narrativa tesa ad affermare l’assoluta non ineluttabilità del binomio Europa-politiche liberali. “Un'altra Europa è possibile”, è il leitmotiv del libro. Come fare per andare oltre il senso comune che ingabbia il tema dell’Europa e che si manifesta con l‘immancabile scetticismo che investe ogni posizione che dissenta da quelle dominanti attualmente in campo: populismo no-euro versus populismo europeista. Come fare, quindi, a compiere il “salto di fede” e riconquistare l’Europa laddove è stata persa?
Per Saraceno è necessario rompere la “solitudine del riformista”, solitudine dovuta al fatto che tutte le posizioni dominanti presenti in campo sono figlie dello stesso “peccato originale”: il clima culturale del “nuovo consenso” in cui l’Europa è andata formandosi e che ancora oggi tende ad essere assunto come l’unico possibile modello culturale di riferimento per l’Eurozona. Il piano per riformare l’Europa che Francesco Saraceno delinea nel suo libro (definito dall’autore di “federalismo surrogato”) cerca di emanciparsi da questo “peccato originale” e richiede, in estrema sintesi, tre passaggi fondamentali. In primo luogo dotare l’Europa di una propria capacità di bilancio in modo da poter intervenire per stabilizzare il ciclo economico nel momento in cui degli shock asimmetrici investissero l’Eurozona. Capacità di bilancio distinto, e con finalità distinte, dal bilancio dell’Unione. In definitiva, nel suo complesso, il primo pilastro dovrebbe rappresentare il canale pubblico di stabilizzazione del sistema economico da mettere in campo al cessare della capacità di stimolo della politica monetaria.
In secondo luogo è necessario ripensare il ruolo dei mercati che devono essere più integrati e meglio regolati, a cominciare da quello del credito per una migliore gestione del rischio. I mercati finanziari europei devono essere messi in condizione di operare in modo più efficiente passando per il completamento dell’unione bancaria e la costituzione di un’assicurazione federale dei depositi. Il secondo pilastro è quindi quello privato preposto alla stabilizzazione dell’Eurozona.
Infine, l’autore sottolinea la necessità di definire una politica industriale europea capace di coordinare le politiche nazionali anche per sostenere e promuovere crescita ed innovazione nei settori industriali europei in un mondo sempre meno multilaterale in cui i giganti cinesi e statunitensi si affermano con sempre maggiore forza; ma anche una politica industriale coordinata che abbandoni ogni tentazione deflazionistica non limitandosi solo a comprimere i salari o eventualmente a defiscalizzare.
Sono questi i tre pilastri necessari per far uscire l’Europa dalle attuali condizioni di fragilità e di impopolarità dovute alla profonda disaffezione dei cittadini dal progetto europeo oramai visto più come un ostacolo che come un’opportunità. Ma, secondo l’autore, ciò che ha affossato l’intera economia europea aumentandone la vulnerabilità non sono stati i bilanci in rosso degli indisciplinati Paesi del Sud, ma gli stessi programmi di risanamento che volevano correggerli. Programmi figli di un’impostazione teorica rivelatasi del tutto inadeguata, perché incentrata sull’asserita efficienza dei mercati e poco attenta al necessario ruolo delle politiche pubbliche e dello Stato. Un decennio di cure sbagliate, ispirate all’austerity, hanno fatto sì che anche gli europeisti si siano disamorati di questa idea d’Europa.
Attraverso questi tre pilastri è possibile cambiare direzione, verso un Europa progressista in cui i temi della redistribuzione, della riduzione delle diseguaglianze della piena occupazione devono ridimensionare la retorica costruita sul debito pubblico che sta minando i rapporti tra gli Stati membri. Di questa retorica, capace solo di alimentare nazionalismi e divisioni, fanno parte espressioni come “Paesi maiali” evocati dall’acronimo formato con le iniziali di Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna piuttosto che “Paesi frugali”. Non è quindi dagli aiuti e dalla solidarietà che l’Europa può trarre benefici per uscire dalla crisi, sottolinea l’autore, perché questa narrazione è tutta interna alla retorica del debito che è il pilastro portante del “Senso Comune” in cui siamo immersi. Il tema centrale è la necessità di comprendere che dalla crisi si esce con un approccio unitario grazie alle ricadute positive e transnazionali degli investimenti pubblici legati ai processi di infrastrutturazione e di transizione energetica ed ecologica. Un approccio che purtroppo non ha minimamente caratterizzato il dibattito sui Next Generation EU che si è sviluppato internamente alla retorica degli aiuti e dei sussidi con i bravi ed i cattivi a litigare sulla composizione del pacchetto di fondi e sull’entità delle relative contribuzioni.
Dalla lettura emerge tuttavia con forza che un altro euro è possibile per un Europa più equa e finalmente capace di crescere, ma il suo percorso costitutivo non è semplice né tecnicamente né culturalmente. Un passaggio cruciale, come sottolinea Saraceno, sarà rappresentato dall’esito dell’utilizzo dei fondi del Next Generation EU. Se questi consentiranno all’Europa di tornare a crescere allora si potrà aprire una nuova fase del dibattito politico europeo per cercare di rendere permanente questo strumento di debito. Una sorta di bilancio europeo, debitamente calibrato, posto sotto l’egida dell’organismo democratico per eccellenza, il Parlamento europeo.
Un treno, quello di questi fondi da non far deragliare e da non perdere perché “non è sicuro ne passeranno altri”. In una Europa in cui le diseguaglianze e le discriminazioni sono cresciute notevolmente negli ultimi trent’anni questo libro non è stato scritto con la finalità di “avere ragione” ma piuttosto con “l’obiettivo di dar vita a un diverso clima etico” e culturale “cercando di prevenire ed eliminare le diseguaglianze e le discriminazioni”. Uno dei compiti dell’intellettuale, per dirla con le parole di Edward W. Said.
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