Il papa è in Puglia sulle tracce di don Tonino Bello, il vescovo per il quale accogliere immigrati in sacrestia non rappresentava la soluzione dei problemi, ma un segno. Francesco trova di fronte a sé una regione del Sud attraversata, per il suo essere “frontiera”, dal confronto – che implica l’incontro e insieme lo scontro – tra religioni, prim’ancora che tra civiltà. Confronto – tra cristianesimo e islam – maggiormente vivo e aspro perché rappresenta l’eterno ritorno di un moto ondoso della storia che già scosse nel passato la Puglia (il Salento, in particolare, con i suoi martiri d’Otranto).
Più di ogni altra parte d’Italia – Sicilia esclusa – la “terra lunga”, come gli arabi chiamavano la Puglia, ha generato e continua a tenere insieme vecchie e nuove contraddizioni a causa della prossimità delle due fedi. Solo chi non conosce quegli antichi e accecanti contrasti può liquidare come semplice “litigio” lo scontro che ha diviso a Manduria, in provincia di Taranto, due frati dell’ordine dei Servi di Maria: padre Gabriele Meccariello e padre Leonardo De Maglie.
Nella terra degli ulivi, il pacifismo di don Tonino Bello non stava (e non sta) alla militanza “combattente” di San Pio da Pietrelcina come l’islamismo moderato dell’imam di Lecce Saiffedine Maaroufi, alfiere del dialogo interreligioso, non sta al credo dei suoi correligionari, molti pugliesi, che lo hanno minacciato via web, costringendolo due anni fa a chiudere la sua pagina Facebook.
Padre Meccariello, favorevole a includere dodici immigrati nel gruppo di fedeli ammessi alla lavanda dei piedi del giovedì santo (29 marzo), durante la messa “in coena domini” a San Michele Arcangelo, con quel gesto ha cancellato antiche inquietudini.
Nel 2011, quando i profughi tunisini arrivarono a Manduria e furono stipati in migliaia nella tendopoli allestita dal governo Berlusconi, proprio padre Meccariello temeva “qualche manovra internazionale diabolesca” dietro l’esodo, come documenta l’intervista contenuta nel bel reportage realizzato da Paolo Inno e Riccardo Specchia. Padre Leonardo De Maglie, invece, ha interrotto l’omelia del confratello per puntualizzare: “Io non lavo i piedi ai migranti”, così come riportato nell’articolo dell’edizione online del “Corriere della Sera” dal giornalista Alessandro Fulloni.
Tra gli organi d’informazione c’è chi ha messo in relazione la lite del giovedì santo con il trasferimento dei sacerdoti. Il vescovo di Oria, monsignor Vincenzo Pisanello, ha smentito trattarsi di una sua decisione: “I due frati sono stati trasferiti ad altre sedi dal Priore provinciale” sin dallo scorso autunno.
Lo scontro tra padre Meccariello e padre De Maglie, al di là delle ragioni umane che potrebbero ridurlo a una semplice lite personale, conferma e rimodella la profonda divisione che attraversa la Chiesa lungo la “frontiera” pugliese: tra accoglienza e rifiuto. Un conflitto, di riflesso, trasferitosi specularmente nel mondo islamico, come abbiamo già detto accennando al caso dell’imam di Lecce Maaroufi.
Postilla decisiva: il 21 dicembre scorso, voxnews.info pubblicava un resoconto dell’incontro interreligioso nella Chiesa di Sant’Antonio a Taranto. Cristiani e musulmani pregavano insieme. Titolo dell’articolo: Taranto, chiesa diventa moschea per un giorno: veglia islamica. Primo capoverso dell’articolo: “I cedimenti all’islam si moltiplicano da parte dei bergogliani. Veglia islamica a Taranto. Per la prima volta all’interno di una chiesa cattolica tarantina sono risuonati i versi del Corano, in lingua araba e in italiano”.
Oltre la fede, il “diavolo” si nasconde nelle strumentalizzazioni. A Manduria due sacerdoti litigano e sul muro esterno dello stadio appare una scritta ultras che rende “onore a padre Gabriele e Leonardo” con tanto di croce celtica in calce. A Manduria la cittadinanza ricorda Elisa Springer, sopravvissuta ai lager nazisti e i muri della città si riempiono di frasi antisemite (e la Manduria di Elisa Springer è stata anche la città in cui faceva capolino il neofascista Franco Freda).
Sembra passata un’era geologica da quando il Salento fu candidato al premio Nobel per la Pace. Correva l’anno 1999 e la proposta di Lino Patruno, ex direttore del quotidiano pugliese “La Gazzetta del Mezzogiorno”, giunse fino a Bruxelles. Nella sede del Parlamento europeo si perorò la causa del lembo di terra che il salentino Carmelo Bene collocava, nella sua geografia sentimentale, “a Sud del Sud dei santi”.
Facendosi storia la cronaca, “il Sud dei santi” non coincideva più solo con l’accecante barocco della pietra leccese, con le sue volute sterminatrici che anticipano le rotazioni dei tarantati e le loro estasi, così somiglianti ai “voli”, altrettanto estatici, di San Giuseppe da Copertino. La santità si era incarnata nell’accoglienza di migliaia di stranieri. Profughi, immigrati: dell’Est Europa prima, dell’Africa poi. La rivincita dei martiri d’Otranto uccisi dai turchi e rinati dalle loro stesse ossa per andare incontro a chi veniva dal mare, fuggendo la fame e la guerra, sbarcando sulle coste del “finis terrae”.
Niente di nuovo sotto il sole di quelle che i gesuiti chiamavano le “Indie interne”: il Sud e il Salento da sempre accolgono. La santità era certo dettata dal mantener ferma la barra solidale di fronte a una rotazione contraria già iniziata due anni prima con lo speronamento e l’affondamento nel Canale d’Otranto, il venerdì santo del 1997, della motovedetta albanese Katër i Radës. L’incidente (81 morti, oltre 20 dispersi) coinvolse la corvetta della marina militare italiana “Sibilla”, annunciando tempi nuovi e difficili.
Come scrive il giornalista Oscar Iarussi, il Salento, pur senza Nobel per la pace, ha continuato “a essere ospitale e concreto” nell’accoglienza. Gli uomini del confine mediterraneo sovvertono così, spiega ancora Iarussi, quel che il filosofo Hans Blumenberg, in Naufragio con spettatore, chiama “il paradigma di una metafora dell’esistenza”. Blumenberg racconta chi rinuncia “al privilegio di guardare dalla riva l’altrui naufragio, rallegrandosi di essere distante da tale sorte”, e va invece incontro al mare, “quando il mare viene incontro alla terra”.
Iarussi, nel rimando al filosofo tedesco, cita poi indirettamente don Tonino Bello e la sua lettera a Rut: «So bene che il problema dell’immigrazione richiede molta avvedutezza e merita risposte meno ingenue di quelle fornite da un romantico altruismo. Capisco anche le “buone ragioni” dei miei concittadini che temono chi sa quali destabilizzazioni negli assetti consolidati del loro sistema di vita. Ma mi lascia sovrappensiero il fatto che si stenti a capire le “buone ragioni” dei poveri allo sbando e che in questo esodo biblico non si riesca ancora a scorgere l’inquietante malessere di un mondo oppresso dall’ingiustizia e dalla miseria».
Papa Francesco ricorda la lezione di don Tonino. L’unica strada percorribile nella Puglia dei conflitti accecanti. Oggi, come in passato, brucia quella “frontiera”, frontiera dello spirito, lungo la quale urge costruire ponti e abbattere muri.
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