L’Unione europea ha compiuto i sessant’anni di età. Tanti, nella vita di una persona. Pochi, in quella di un’organizzazione. Eppure, nei suoi sessant’anni di vita, l’Ue ha raggiunto obiettivi di rilevanza storica. Ha pacificato un continente, che era stato teatro di drammatici scontri tra Stati nazionali per secoli. Ha stabilizzato le democrazie liberali dei suoi Stati membri, democrazie che erano state facilmente sostituite da regimi autoritari tra le due guerre mondiali del secolo scorso (con l’eccezione britannica e della penisola scandinava). Ha promosso una crescita economica senza precedenti, che ha consentito di debellare fenomeni a lungo radicati come la povertà, il sottosviluppo, la denutrizione, la marginalità. Ha rafforzato le protezioni sociali all’interno dei suoi singoli Stati membri, creando le condizioni per lo sviluppo di un Welfare che ha civilizzato le loro società di mercato.
Prima di gettare discredito su questa esperienza, sarebbe quindi bene contare fino a dieci. Tuttavia, come molte esperienze che nascono dal necessario compromesso tra interessi e prospettive diverse, l’Ue ha dimostrato di avere non pochi difetti, molti dei quali di natura istituzionale. Siccome è stata costruita sulla base delle risposte a crisi contingenti o a pressioni momentanee, il suo disegno istituzionale non ha potuto acquisire una forma coerente con la logica di una democrazia appunto sovranazionale. Ed è ciò che discuterò qui. Procedendo in questo modo. In primo luogo, identificherò le differenziazioni che si sono formate all’interno dell’Ue. In secondo luogo, affronterò criticamente le soluzioni proposte per organizzare quelle differenziazioni. In terzo luogo, avanzerò la prospettiva dell’unione federale come unica soluzione per uscire dallo stallo. In quarto luogo, definirò il quadro di competenze e di istituzioni che dovrebbero connotare l’unione federale. Infine, nelle conclusioni, ricondurrò la mia proposta all’esigenza di soddisfare i criteri della legittimazione democratica.
[L'articolo completo, pubblicato sul "Mulino" n. 2/17, pp. 190-204, è acquistabile qui]
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