Un po’ sorniona («scelgo solo interviste in posti dove mi sento bene») e un po’ petulante («non mi sono dimessa, ho scelto di non ricandidarmi»), Angela Merkel è tornata in pubblico esattamente come l’avevamo lasciata. Per la sua prima intervista da quando non è più cancelliera federale – la sua prima uscita in assoluto c’è stata qualche settimana fa, quando ha partecipato al saluto di Reiner Hoffman che lasciava la guida del sindacato Dgb – Angela Merkel ha scelto il Berliner Ensemble, il teatro di Brecht. Ambiente tutto dalla sua perché incuriosito e voglioso di rivedere la Mutti; a fargli le domande Alexander Osang, berlinese dell’Est e giornalista dello «Spiegel».
Angela Merkel, che presentava così un libretto nel quale sono raccolti tre dei suoi discorsi da cancelliera, annunciando, per il piacere di storici e curiosi, di lavorare alle sue memorie, parla del passato e del presente. Delle sue vacanze in Italia, del mar Baltico che adora, della sua gente, con la quale ha sempre parlato liberamente e nulla è mai finito sui giornali, della morte della madre, «che mi ha colpito più di quanto pensassi», segnalandola come una delle cause del suo tremore che fece il giro del mondo. Ironia della sorte, di uno di questi tremori fu vittima durante la visita di Stato a Berlino del presidente ucraino Zelensky.
E del resto la serata non poteva non volgere anche sull’Ucraina: citando le domande che gli sono arrivate dall’ambasciatore ucraino in Germania, molto attivo e presente nello spazio pubblico, Osang le chiede: «Se la sente di chiedere scusa?». E Merkel, che pure non si tirò indietro nel corso della pandemia nello scusarsi apertamente con i suoi concittadini per una scelta sbagliata e contraddittoria, risponde quasi di getto: «No». Per poi iniziare un lungo ragionamento che porta via un bel po’ dell’intervista, sempre in pieno stile merkeliano.
Premessa d’obbligo: «La prima volta che incontrai Putin, mi disse che lui considerava il crollo dell’Unione Sovietica la più grande tragedia del XX secolo. Io gli ho risposto che per me è stata, invece, la fortuna della mia vita, perché da quel momento ho potuto divertirmi e fare quello che volevo in libertà. Tra noi c’è stato sin dall’inizio questo disaccordo e in tutti questi anni non siamo riusciti a concludere davvero la Guerra fredda. Come pure a costruire un sistema di sicurezza europeo che riuscisse a evitare quello che è successo».
Oltre al giudizio sull’attacco russo, «Brutale aggressione per cui non ci sono scusanti», Angela Merkel non può fare a meno di segnalare che, proprio come Putin, anche lei viene dal socialismo reale, ma mentre il presidente russo vive con rabbia il declino della Russia dallo status di superpotenza, lei, al contrario, è stata la donna più potente del mondo proprio grazie al crollo del Muro prima e dell’Urss poi. La ex cancelliera ricorda il ruolo di Gorbaciov e in generale dell’Unione Sovietica nella Riunificazione tedesca e ribadisce quanto siano stati fortunati i tedeschi «perché le cose sono andate come sono andate, questa guerra dimostra che quell’esito non era scontato».
Ecco qui Merkel mi pare colga un punto ma ne manchi un altro. Da un lato, sembra quasi prendersela con Putin per aver tentato un azzardo (più precisamente «un grande errore») dal quale non uscirà bene e a pagarne il conto saranno, oltre agli ucraini, anche gli stessi russi. Un azzardo al solo scopo di far girare all’indietro le lancette della storia: come se fosse esclusivamente il passato a guidare l’azione del leader russo. Dall’altro però, Merkel continua ad avere poche parole per quanto c’è tra Berlino e Mosca, per quei Paesi del blocco sovietico che oggi sono, comprensibilmente, i più feroci critici della politica sin qui seguita con la Russia. Un atteggiamento di apparente disinteresse, o quantomeno disattenzione, che mi pare abbia segnato anche il suo cancellierato e ne rappresenta uno dei limiti più evidenti.
Come si è arrivati a questa guerra? C’è forse una responsabilità soprattutto tedesca nel non leggere l’evoluzione autoritaria della Russia di Putin e nel continuare a farci affari? La questione va posta su un piano diverso, Merkel lo spiega quasi in modo didattico: «Non mi sono mai illusa di smuovere Putin. Conosco la sua ostilità per il modello democratico occidentale. Il senso della nostra politica, del Wandel durch Handel partiva dall’idea che Europa e Russia sono vicini e che se non funziona la politica è almeno sensato avere delle relazioni economiche».
Lontano dalle grandi illusioni (prevalentemente delle capitali occidentali) degli anni Novanta in base alle quali favorendo lo sviluppo di elementi tipici del libero mercato in determinati Paesi, la democrazia sarebbe spuntata come i frutti dagli alberi, la visione di Merkel è certamente meno ambiziosa, più realista ma non per questo meno interessante. Si tratta di bilanciare valori e interessi per trovare un equilibrio in Europa: «L’interesse del Paese che ho governato è quello di individuare con la Russia un modus vivendi nel quale non ci si trova in uno stato di guerra ma riusciamo a coesistere nonostante tutte le differenze». Del resto, qui Merkel dà prova di essere una grande statista, tornando alla Riunificazione, la Germania ha trattato con l’Unione Sovietica, con i comunisti, e c’erano già stati momenti difficili («lo stato di emergenza in Polonia, l’invasione di Praga del 1968 per Dubček») e che, quindi, non è certamente la prima volta che l’Europa deve confrontarsi con le contraddizioni del sistema russo, eppure: «la Russia è la seconda potenza atomica del mondo, ha un territorio enorme e continuerà ad esistere», insomma non è possibile ignorarla (e del resto Merkel non fa nulla per nascondere la sua ammirazione per la cultura russa e per i suoi legami con il Paese: «se fossi nata nell’Ovest avrei imparato l’inglese, ma vengo dall’Est»).
Merkel non fa nulla per nascondere la sua ammirazione per la cultura russa e per i suoi legami con il Paese: "se fossi nata nell’Ovest avrei imparato l’inglese, ma vengo dall’Est"
Un’analisi quella della ex cancelliera che, in una Germania molto divisa, nella quale gran parte della stampa accusa Olaf Scholz di fare troppo poco se non apertamente di doppiezza verso l’Ucraina, può contribuire ad allargare i confini di una discussione troppo concentrata sulle armi e poco sul futuro.
Merkel precisa, da un lato, come sia stata mossa dall’imperativo di evitare che la situazione degenerasse, che fosse necessario tenere un contatto con Mosca e allo stesso tempo prepararsi a ogni evenienza, non restando con le mani in mano: cita l’obiettivo del 2% del Pil per la difesa concordato in ambito Nato, aver iniziato a comprare droni armati. «Qui avremmo dovuto fare di più perché questa è l’unica lingua che Putin comprende e lui ha capito che non avevamo più la forza dei tempi della Guerra fredda ed è anche per questa ragione che ho ritenuto deplorevole il ritiro dall’Afghanistan».
Il riferimento agli interessi nazionali e l’insofferenza verso l’atteggiamento americano, dimostrano che la divisione tra le due sponde dell’Atlantico è qualcosa che non è destinata a essere ricucita a breve
E, tuttavia, il senso delle critiche resta: da un certo momento in poi, questa politica di tentato dialogo poteva dirsi conclusa. E Germania e Francia hanno invece cercato di evitare ogni scontro con la Russia. Perché? «Nel 2008 ho detto di no all’ingresso dell’Ucraina e della Georgia nella Nato, intanto perché era un Paese molto diverso da oggi, diviso, e governato da oligarchi. Anche dopo il 2014 è stata una decisione saggia, perché un ingresso dell’Ucraina nella Nato avrebbe scatenato la guerra, com’era successo in Georgia, e così almeno abbiamo dato tempo al Paese di prepararsi e resistere come oggi sta facendo: allora non avrebbe potuto permetterselo».
Anche sull’energia Merkel appare molto serena: «Putin non ha atteso che Il Nord Stream II entrasse in funzione, ma ha ritenuto di dover intervenire perché accanto alla Russia non nascesse un Paese con un modello, che lui considera influenzato dall’Occidente, diverso da quello russo». La questione per la Russia non era energetica, ma tutta politica. Ma proprio sul Nord Stream II Angela Merkel ha introdotto un altro aspetto rilevante: vale a dire le differenze strategiche con gli americani. E non ha nascosto di aver provato un certo fastidio alle critiche di Washington come pure alla decisione di ritirarsi dall’Afghanistan o al tentativo di raggiungere un accordo con l’Iran: siamo alleati, combattiamo insieme, ma tra alleati non ci si comporta così. Ovviamente sembrava che il bersaglio delle critiche di Merkel fosse soprattutto Trump, Biden al contrario è stato lodato dalla ex cancelliera proprio per un gesto «straordinario», quello di trovare un accordo sul Nord Stream II anche se lui non era d’accordo al progetto.
Ma al di là di questa sottile distinzione, già il riferimento agli interessi nazionali come pure l’insofferenza verso l’atteggiamento americano, dimostrano che la divisione tra le due sponde dell’Atlantico (e nella Manica) è qualcosa che non è destinata a essere ricucita nemmeno con la compattezza mostrata nell’opporsi alla guerra di Putin. Mi sembra che la necessità di dover immaginare un nuovo ordine, che scongiuri o almeno limiti la guerra, è il progetto a cui la ex cancelliera ha intenzione di dedicarsi, se non politicamente quantomeno nel riproporre il suo particolare realismo (condensato nella frase di Ben Gurion: «Chi non crede nei miracoli, non può essere un realista») come una chiave per iniziare a immaginare il mondo di domani.
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