Una analisi di quanto sta avvenendo nella politica italiana induce l’impressione di stare assistendo a uno scontro chiuso fra fazioni in lotta che tutto hanno in mente tranne la risoluzione dei problemi del Paese. La dialettica politica, ammesso che si possa usare questo termine per quanto sta avvenendo, ha come obiettivo di determinare un quadro in cui non sia possibile formare convergenze con la forza di affrontare la crisi politica in corso e di conseguenza provare a trarre profitto della ripresa che sembra affacciarsi a livello europeo. Di qui una tattica quotidiana di sgambetti reciproci, in Parlamento e nel teatrino mediatico.
L’obiettivo che unisce la maggior parte delle forze è disarticolare il Pd sotto la leadership di Renzi. Su come farlo divergono ovviamente i vari attori in campo, che però sono uniti dalla convinzione secondo cui riuscire in quell’impresa significa aprire una fase in cui quasi tutti i soggetti in campo, inclusi quelli minori, potranno avere opportunità di guadagnare per sé feudi più o meno grandi.
Prescindiamo ovviamente in questa analisi da qualsiasi giudizio di valore su Renzi e sulle sue capacità, ci limitiamo a osservare che un Pd in cui fosse battuto l’equilibrio attuale diventerebbe un partito preda delle lotte di fazione e costretto a una navigazione a vista determinata dall’evoluzione di quegli scontri. I principali attori dell’attacco all’attuale segretario di quel partito (tale non per un colpo di mano, ma per una regolare competizione interna) sono i movimenti che si collocano alla sua sinistra. Sappiamo i mantra che, con variazioni, essi recitano: in sostanza la proclamazione che il Pd non sarebbe più un partito di sinistra. Ciò su cui non si riflette è che in sostanza questa accusa si basa sul fatto che Renzi punterebbe dopo le elezioni a fare una larga coalizione con Berlusconi.
In un contesto un minimo razionale, la strategia per rendere questa ipotesi impraticabile sarebbe quella di offrirsi come alleanza alternativa con numeri tali da consentire la formazione di una maggioranza governativa nel futuro parlamento. Questo viene ritenuto impraticabile perché, si insiste, Renzi e il suo Pd non sono di sinistra. In realtà questa verifica andrebbe fatta su un confronto circa le future misure da adottare, ma qui casca l’asino: innanzitutto le molte anime dell’arcipelago a sinistra del Pd non sono concordi, ma soprattutto non sono sicure che le loro ricette, una volta conosciute, sottraggano consensi a Renzi e non a loro. Perciò ripiegano sul vecchio e conosciuto terreno di vent’anni della politica italiana di sinistra: l’antiberlusconismo. Basta dire che Renzi vuol fare l’alleanza col diavolo per rianimare gli animal spirits popolari.
Qualcuno dovrebbe però accorgersi che Berlusconi ha capito al volo le opportunità che la situazione apre per lui. Infatti lascia costantemente filtrare che all’alleanza col Pd non è ostile, anche se, più furbescamente dell’estrema sinistra, mette avanti che la farà solo se il centro destra a sua guida non riuscisse a fare da solo una maggioranza. Si capisce che per Berlusconi fare una alleanza eventuale con un Pd bastonato alle elezioni sarebbe cosa ben diversa dal doverla fare con un Pd che raccolga un buon consenso popolare. Dunque l’ex Cavaliere abilmente va in tv e mette in mostra tutto il suo più tradizionale repertorio che fa scattare la «sinistra» come i tori davanti al rosso.
Nessuno peraltro si impegna a presentare uno straccio di riflessione programmatica sui nodi reali che il Paese ha davanti. Si pensa di contrastare i Cinque Stelle accusandoli di impreparazione e inadeguatezza, ma non si capisce che di fronte alla genericità e alla vaghezza delle proposte tanto della destra che della sinistra, i grillini hanno ormai imparato benissimo a controbattere efficacemente con altrettanta vaghezza e utopismo: tanto lo scontro è fra chi crede a prescindere.
Ciò che si chiede un osservatore interessato al futuro del Paese è come mai non ci siano forze che con la necessaria incisività si preparino a contrastare questo piano di devastazione del quadro politico che si vuole far regredire a una arena per uno scontro senza regole fra fazioni capaci di bloccarsi a vicenda. Non è questione di sistemi elettorali, è questione di coesione, responsabilità e di cultura politica.
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