Siamo dunque alle battute di chiusura della farsa. Nata negli anni Ottanta del ventesimo secolo come Lega Lombarda, cresciuta nei Novanta come Lega Nord, nei Dieci del ventunesimo la strana compagine del Bossi Umberto (e del Bossi Trota) muore come The Family. O anche, per raccontarla all’antica italiana, se ne va in vacca come Tengo Famiglia. Sic transit gloria mundi, dicono i più cinici in quel di Roma ladrona. Quanto agli altri, molti non se ne capacitano, ma molti di più tirano il fiato. Ce ne sono però alcuni che, mentre scema il celodurismo sedicente padano, non dimenticano lo scempio che ne è venuto a tutti noi, e che non sparirà con il quasi-comico uscir di scena degli improbabili eredi di Brenno.
Ci sono intanto i danni per così dire morali sofferti dai nati un po’ sopra e un po’ sotto il quarantacinquesimo parallelo. Per più di vent’anni i loro bei dialetti sono stati confusi con una parlata zotica e greve, irta di latrati gutturali. E per più di vent’anni l’incolpevole Po è stato ridotto a comico padre d’una mitoideologia da bar Sport, ridicolizzata da druidiche scempiaggini. C’è da temere che non ne basteranno altri venti per dimenticarsi di tutto questo, e per farlo dimenticare.
Ci sono poi i danni (non solo morali) patiti dagli italiani d’ogni latitudine, indotti a immaginare che la politica non sia questione di interessi e conflitti, e talvolta di ideali e solidarietà, ma di sangue e suolo, o di Blut und Boden, per dirla in modo più trasparente e più preoccupante. E alla fine si son convinti che i gruppi umani abbiano radici. La metafora è di quelle potenti, ma solo per chi non abbia il senso dell’umorismo, e per di più non veda la propensione della nostra specie a muoversi, a solcare mari e attraversare fiumi, e a dedicarsi in ogni tempo e in ogni luogo alla più antica e alla più dilettevole delle attività sociali. Eppure, così è accaduto: dalla mitoideologia da bar Sport abbiamo ricavato la certezza che un popolo sia niente più che un vegetale abbarbicato alla sua misera zolla, sempre intento a crescere su se stesso, e a ripetere se stesso.
Ma lo scempio più grave è ancora un altro. Formatosi nella povertà intellettuale di quel tale bar Sport, s’è poi diffuso in tutto il Paese, avvelenandone le parole e i pensieri. È iniziato come odio contro gli italiani nati al Sud, i "terroni". Poi s’è andato allargando, fino a investire intere "etnie" considerate intrinsecamente, irrimediabilmente criminali. Allo scopo, i mitoideologi del celodurismo hanno raccontato e montato paura, attribuendone la causa via via ai più deboli fra i deboli. E così non hanno faticato a raccogliere consenso. Ne hanno raccolto tanto, che altri li hanno imitati: prima la destra, com’è nella sua tradizione, ma poi anche il centrosinistra, contro la sua tradizione. Alla fine, i nostri discorsi e la nostra politica hanno avuto come unico centro questa paura e quell’odio, comodi surrogati della fatica di pensare e del rischio di governare.
Ora dunque la tragica farsa volge all’epilogo che si merita, tra familismo amorale e spussa de danée (odore di soldi). Ma non c’è motivo d’essere ottimisti. Quello che la strana compagine del Bossi Umberto (e del Bossi Trota) ha sparso nel Paese è un veleno tenace. Certi movimenti politici sono come i serpenti: sembra che muoiano, ma poi cambiano solo pelle.
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