Dall’“Eroe dei due mondi” sostenitore dell’Internazionale, ai “Gruppi d’azione patriottica” (Gap) durante la Resistenza partigiana, fino al Partito comunista Italiano (Pci) nell’Italia democratica, la sinistra italiana ha una lunga tradizione di patriottismo declinato evidentemente in modo opposto rispetto a quanto fa oggi la destra: non un’Italia chiusa e monoculturale che difende i propri confini dall’immigrazione, ma un’Italia orgogliosa della propria cultura e tradizione popolare e allo stesso tempo aperta al mondo e allo scambio con l’esterno. Inoltre, diversi sondaggi mostrano come una maggioranza dei cittadini europei si identifichi con l’identità nazionale. Anche per questo, sostiene Custodi, la sinistra non dovrebbe lasciare alla destra il monopolio del definire che cosa sia l’Italia, cosa significhi farne parte e chi siano davvero gli italiani.
Un’idea di Paese. La nazione nel pensiero di sinistra, edito da Castelvecchi, è suddiviso in cinque capitoli. Il primo è un capitolo propedeutico che serve a fare chiarezza al lettore sul concetto di nazione. Sull’identità nazionale esistono varie teorie, chi la considera storicamente legata al processo di formazione degli Stati, chi la fa risalire molto più indietro e la basa su elementi come la lingua o una cultura comune. Tra tutte le definizioni, Custodi propende per quella di Benedict Anderson, secondo cui le nazioni sarebbero “comunità politiche immaginate”: la diffusione della stampa, dei giornali e delle riviste ha permesso alle persone di immaginarsi parte di una comunità più ampia, su questo brodo di coltura poi attori politici e intellettuali hanno costruito consapevolmente un apparato simbolico fatto di miti fondativi, monumenti e storia condivisa.
Nel secondo capitolo si ripercorre il pensiero marxista rispetto alla nazione, spoiler: Marx ed Engels sostengono l’idea secondo cui le identità nazionali avrebbero perso di rilevanza con lo sviluppo del capitalismo globale solo nel periodo giovanile. Ragionando sulla Polonia e poi ancora sulla “questione irlandese” si accorsero che le nazionalità erano una variabile tutt’altro che irrilevante per la lotta di classe. Successivamente Antonio Gramsci col concetto di “nazional-popolare” e un politico praticamente dimenticato come l’austriaco Otto Bauer si sono ulteriormente cimentati con il tema della nazione da un punto di vista marxista. Nel terzo e nel quarto capitolo si passa alla politica contemporanea, dal movimento noglobal di inizio anni Duemila, alla sinistra populista latinoamericana di Chávez, che indossava spesso nei comizi una tuta coi colori nazionali, fino alla sinistra populista di Podemos in Spagna.
Appare evidente che il rapporto tra sinistra e nazione cambi a seconda del tempo e dello spazio in cui ci muoviamo. Con grande approssimazione possiamo sostenere che laddove la sinistra ha combattuto contro un nemico esterno la questione di classe e quella nazionale sono “appaiate”, si pensi al caso di molti movimenti in lotta contro le potenze coloniali durante la fase di de-colonizzazione. Al contrario, negli ultimi decenni in Europa sinistra e nazione sono parse categorie spaiate. Un caso che fa eccezione è quello di Podemos, che oggi pare essere alla fine della sua parabola, ma che in un momento iniziale ha molto imperniato la sua retorica in chiave patriottica. Custodi riporta una citazione del suo primo leader, Pablo Iglesias: “Quello che avevamo imparato dall’America Latina era che il nazional-popolare era un modo per avanzare in una direzione progressista di sinistra molto più efficace delle vecchie identità legate all’estetica del movimento operaio e della sinistra tradizionale in Europa”. Il libro si chiude affrontando il caso italiano di cui abbiamo già accennato, in cui l’identificazione tra il Pci e gli strati popolari fu tale che Jean-Paul Sartre, venuto in visita in Italia per studiare la forza dei comunisti italiani, disse: “adesso ho capito perché il Pci è così forte, il Pci è l’Italia!”.
L’autore si cimenta su un terreno scivoloso (soprattutto in un’epoca in cui il dibattito pubblico tende a polarizzarsi e procedere per slogan su qualsiasi argomento) ma necessario. Due sono gli appunti critici possibili. Il primo è che, avendo preso in esame prevalentemente la cosiddetta “sinistra radicale”, nel libro si parla poco dei partiti del Partito socialista europeo (Pse), dal Partito democratico ai partiti socialisti spagnolo e tedesco, che a parere di chi scrive sembrano essere i soggetti politici meglio attrezzati per consenso elettorale e struttura organizzativa per sfidare la destra in una narrazione contro-egemonica del concetto di nazione. Il secondo è che Custodi avrebbe forse dovuto elaborare di più sul come far coesistere le singole identità nazionali con l’Unione europea, di cui si avverte drammaticamente la debolezza politica nello scenario internazionale, anche se è l’autore stesso a dire nel libro di voler parlare del problema dell’identità italiana da una prospettiva diversa dalla questione europea in cui era stata spesso incasellata.
Negli ultimi anni, a sinistra, il tema dell’identità nazionale in Italia sembra essere stato abbracciato prevalentemente da esponenti che poi si sono spostati sempre più a destra (si pensi da esempio a Marco Rizzo o a Diego Fusaro). Personaggi che hanno così finito per scimmiottare ed aderire acriticamente alla retorica sovranista di destra invece di elaborare un’altra idea di nazione. All’opposto, alcuni circoli intellettuali sembrano rifiutare in toto la possibilità che esista un’identità italiana. Tra le due trincee troviamo questo breve libro, di facile lettura ma mai superficiale, che merita di essere letto da tutti coloro che, da sinistra, non rinunciano a ragionare seriamente, oltre gli slogan e i luoghi comuni, su come reagire all’attuale egemonia di destra nel nostro Paese.
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