Forse qualcuno ricorderà la vicenda della Diamond Princess, una nave da crociera che nei primi mesi del Coronavirus rimase settimane in quarantena. Quando i passeggeri sbarcarono non ne sapemmo più molto. Diverse di queste Disneyworld marittime rimasero dove erano con a bordo i marinai e, talvolta, parte del personale, lontani migliaia di chilometri da casa. Gli equipaggi restarono settimane bloccati nelle loro cabine anguste, senza luce o aria naturale. Alla fine di questa quarantena da isolamento in carcere duro venne comunicato loro il licenziamento.
Negli stessi mesi i mercantili andavano in su e in giù per i mari del pianeta con a bordo marinai i cui turni venivano allungati di settimane per mantenerli in isolamento. Qualcuno ricorderà anche l’episodio di 21 grammi, il film di Alejandro González Iñárritu in cui una domestica messicana non può tornare a casa sua perché clandestina nonostante le vengano affidati i figli di una famiglia più che benestante. Le vicende dei marinai, come quelle di mille altre mansioni svolte in Occidente o ai quattro angoli del pianeta, oggi sono una delle tante ragioni per cui vale la pena leggere un libro di storia come Le metamorfosi del lavoro coatto (Il Mulino, 2022) dello storico Alessandro Stanziani.
I diritti del lavoro e il diritto del lavoro, le modalità con cui si regolano i rapporti tra padroni e manodopera sono un mondo meno omogeneo di quanto tendiamo a immaginare. Non lo sono oggi e men che meno lo sono stati nella storia dell’umanità. Schiavitù, servitù e lavoro libero sono spesso stati insiemi che si intersecavano e sovrapponevano, aree grigie o mondi lontani che si ignoravano, come nel caso dell’aristocrazia operaia britannica che da un certo punto della storia in poi comincia a ottenere concessioni e diritti negati ai lavoratori delle colonie, parte della stessa economia. Eppure il modo in cui ci raccontiamo la storia dell’Occidente è quello di un cammino incessante dalla schiavitù alla libertà individuale delle persone che lavorano: superato un paradigma, raggiunta una consapevolezza, diciamo a partire dal pensiero liberale illuminista, la strada verso un mondo di uomini liberi (le donne meno) è arzigogolata ma in discesa. Non solo, libertà del lavoro e progresso economico camminano assieme, perché la schiavitù tarpa le ali allo sviluppo ‑ perché, per dirla con Adam Smith, uno schiavo non ha incentivi a migliorare la propria condizione, non gli interessa essere produttivo.
Lo sviluppo capitalistico non è associato alla trasformazione della manodopera in lavoro salariato, ma coercizione ed estensione dei diritti camminano assieme, in forme diverse e a latitudini diverse
Il primo merito del libro di Stanziani è proprio quello di decostruire questa narrazione che tendiamo ad avere sostanzialmente introiettato per cui, a partire da un certo momento della storia dell’umanità, l’Europa cambia e il lavoro servile, coatto, schiavistico rimane come segno di arretratezza ai margini dell’economia e fuori dai suoi confini. Nella storia ricostruita in questo volume sia la coercizione sia i profitti ottenuti grazie ad essa sono motori dello sviluppo come l’aumento della produttività, i diritti, la spinning jenny e il vapore. I marinai di cui si parlava sopra, marginali quanto indispensabili come vediamo nei mesi della crisi delle supply chains sono un segno contemporaneo di quanto sia sensata la lettura che Stanziani offre delle vicende descritte in un libro tanto documentato quanto ricco di spunti e aneddoti. “Lavoro libero e lavoro coatto si intrecciano, si sovrappongono, e quasi sempre rispondono l’uno all’altro. Descrivono una sola e unica storia, ma quale?”, scrive lo storico nell’introduzione.
L’altro merito del volume è quello di essere una storia globale: leggendolo scopriamo dei viaggi di Bentham in Russia e di un Panopticon come potenziale strumento di controllo dei lavoratori svogliati (e quindi non solo dei marginali, dei misfits), seguiamo le vicende dei marinai e arriviamo fino alla brutalità esercitata dalle potenze coloniali in Congo. Scegliere sistemi economici e sociali diversi tra loro come oggetto di studio aiuta a individuare convergenze ed enormi differenze nelle vicende, così come nei comportamenti delle élite, guidate di volta in volta da interessi diversi.
Qui e là nel volume si affaccia una figura che quelle vicende le ha attraversate tutte, dalla Polonia natale all’Africa, passando per la vita da mozzo nei Mari del Sud: Jozef Teodor Konrad Korzeniowski, il vero nome di Joseph Conrad. Grazie a questi squarci, Stanziani ci aiuta a collocare nel nostro immaginario la storia che ricostruisce – e si tratta di un pregio per un libro che ricostruisce vicende che vanno dalla Russia zarista alle piantagioni del Sud degli Stati Uniti, alle navi, luogo globale ante litteram, fino agli orrori del Congo coloniale.
Questi pregi “letterari” non devono far perdere di vista il valore scientifico che riguarda appunto la ricostruzione di un percorso non lineare e non concluso, per cui
«ogni epoca e ogni contesto propongono definizioni molteplici della libertà e della coercizione al lavoro, ciascuna riflesso di interessi particolari e allo stesso tempo espresse nelle pratiche reali del lavoro […] non si tratta tanto di reperire l’emergenza del "lavoro libero" e della "civiltà", né, inversamente, di stigmatizzare la persistenza delle "tradizioni corporative" o anche delle forme celate della schiavitù, ma di capire le mutazioni delle forme storiche del lavoro, le conseguenze in termini di libertà e di coercizione e, in ultima analisi, di afferrare le ragioni per cui, fino ai nostri giorni, i progressi intellettuali politici e delle condizioni di vita, soprattutto in Occidente, non siano riusciti a sradicare la coercizione al lavoro finanche nelle sue forme più estreme su buona parte del pianeta».
Già, perché fin dalle origini del Welfare e delle conquiste del lavoro, quelle conquiste operaie non riguardavano che una fascia relativamente piccola di lavoratori, anche nei Paesi dove venivano implementate. Parallelamente proseguono o nascono forme di indebitamento e vincolo al lavoro in società che aboliscono la schiavitù (il capitolo sulle isole Mascarene) – pratica diffusa oggi nei luoghi di partenza e arrivo dei migranti o istituzionalizzate nella Penisola araba. Ma proprio negli anni in cui il progresso avanza in Occidente, il lavoro coatto è parte integrante dei sistemi economici (gli imperi) dove le riforme si applicano. “Tutti in Europa concordano sulla necessità di non estendere i nuovi diritti sociali ai mondi coloniali. L’ideale di una missione civilizzatrice della Francia procede di pari passo con la volontà di ritardare il più possibile l’accesso delle popolazioni arretrate”, scrive Stanziani nelle conclusioni.
Le dinamiche descritte ci sono utili a osservare cose del mondo contemporaneo, incluse le ambiguità che si creano nei rapporti tra il personale domestico e di cura e le famiglie che le impiegano
Il volume ripercorre una storia fatta di zone grigie, ambiguità legali, passi avanti e indietro, giurisprudenza che non coincide con la pratica del lavoro. Marinai, schiavi, servi possono essere formalmente liberi o liberati e venire lo stesso usati come lavoratori forzati in condizioni terribili dalla Marina britannica o francese, lo status di alcuni mestieri non è mai definito appieno, gli aiuti e ricompense di Stato per le famiglie dei marinai forzati non riguardano mai tutti. E poi ci sono le forme estreme di reclutamento coatto, i semi schiavi presi nelle colonie. Quella che Stanziani ricostruisce attraverso fonti giuridiche e processuali, diari, letteratura coeva alle vicende che indaga è una storia che mostra come l’avanzamento dei diritti sociali ed economici non sia una linea retta e, soprattutto, non riguardi il mondo del lavoro, ma solo una sua parte. In questo, viene da dire, le dinamiche che descrive sono utili a osservare il mondo contemporaneo e la sua organizzazione dell’economia, dai servizi non qualificati nelle metropoli, fino al lavoro agricolo, come nelle ambiguità nei rapporti che si creano tra il personale domestico e di cura e le famiglie che le impiegano. Notevole è anche lo sguardo sulle dinamiche dello sviluppo economico e sociale in Europa, che avviene mentre parallelamente, in territori dove sventolano Union Jack o tricolore, le condizioni di chi lavora restano le stesse o talvolta peggiorano.
Nel volume incontriamo la giurisprudenza che regola il lavoro, l’economia e la società che spingono a quella regolamentazione per ragioni che, ancora una volta, cambiano a seconda del luogo e del sistema economico e sociale (la Russia e gli Stati Uniti, gli imperi coloniali) e, infine, l’uso che delle regole possono provare a fare i lavoratori sottoposti a vessazioni normali ma in teoria escluse dalla legge. Nella ambiziosa lettura di Stanziani lo sviluppo capitalistico non è associato alla trasformazione della manodopera in lavoro salariato ma coercizione ed estensione dei diritti camminano assieme, in forme diverse e a latitudini diverse.
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