A metà ottobre è stato inaugurato a Dresda un nuovo museo, o meglio un museo che vuole affrontare in termini “nuovi” un tema antico: l'esercito e, necessariamente, ciò che l'esercito fa.
Il primo nucleo di un museo militare a Dresda data alla fine dell'Ottocento, quando la città era la splendida capitale della Sassonia. L'edificio dell'arsenale dell'impero prussiano accolse una prima raccolta di cimeli bellici. Questa collezione, mantenuta e ampliata nel corso degli anni, superò la difficile fase della Grande guerra, poi la crisi e l'ascesa del nazismo: passando da una denominazione all'altra, dall'armata sassone alla Wehrmacht, il museo rimase aperto fino al 1945. Dopo quell'anno, ciò che era accaduto – e il modo stesso di condurre quella guerra – non poteva permettere l'esistenza di musei militari in terra tedesca. Terra, oltretutto, occupata e in via di divisione. L'arsenale venne quindi destinato ad altri usi: tra questi vi fu anche l'allestimento di una mostra sul piano di ricostruzione della città dopo i devastanti bombardamenti. Nel 1972, tuttavia, l'edificio tornò a ospitare un museo militare, questa volta dedicato alla Volksarmee, l'esercito del popolo della Ddr.
Il 1989 segna una nuova cesura e un necessario ripensamento. Una pausa. Per raccontare la storia dell'esercito, o meglio degli eserciti tedeschi c'è bisogno di un'evidente discontinuità rispetto al passato. E il fatto che sia proprio la città tedesca simbolo delle conseguenze della guerra (quello che l'esercito fa) a ospitare un museo su tale tema, impone che questo debba essere affrontato dal punto di vista non solo di chi la guerra la conduce, ma anche di chi la subisce. Il risultato, dopo vent'anni e un concorso d'architettura, è simbolicamente raccolto nell'imponente cuneo metallico inserito nell'edificio da Daniel Libeskind, archistar ormai specializzata sui temi della memoria e della guerra (tra i suoi progetti più famosi ricordiamo lo Jüdisches Museum Berlin ma anche l'Imperial War Museum di Manchester, oltre che la Freedom Tower che sostituirà il Wtc di New York). Questo corpo taglia la facciata in due come la testa di un'ascia o la scheggia di una bomba, e cresce oltre l'altezza dell'arsenale, offrendo la visione della città dall'alto, rimandando esplicitamente alle note immagini aeree di Dresda distrutta. Grazie a questo ampliamento, il percorso espositivo attraversa sia le sale dell'edificio storico che il “cuneo”, in grado di ospitare gli allestimenti più coinvolgenti: dalle rassicuranti e abituali teche si passa a pareti con appesi elicotteri, mezzi corazzati, missili, fino alle famigerate V2. I proiettili, le bombe e le schegge delle granate si presentano come una pioggia di fuoco raggelata sulla testa dei visitatori. La guerra non è più solo divise e cimeli, cannoni e carri armati schierati quietamente nelle sale del museo: la guerra incombe. È paura, violenza, sofferenza. È la ricerca del riparo di un bunker, ma anche il test di un gas velenoso su un gatto o la produzione di gomma sintetica nella IG-Farben di Auschwitz III-Monowitz. E non possiamo considerarla né solo un ricordo, né lontana da noi: il percorso del museo sottolinea come la cultura militare pervada la società, dai soldatini di piombo d'inizio Novecento all'abbigliamento scelto da cantanti di tempi più recenti, fino a tendenze espresse da famose case di moda.
Nell'opinione di molti, un museo militare così concepito è antikrieg, contro la guerra, ma per il suo curatore Gorch Pieken il progetto è più complesso: nasce dalla volontà di offrire un percorso di riflessione attraverso la storia tedesca, fatta di celebrazione, esaltazione, deformazione della cultura militare, fino ad arrivare a che cosa è oggi il compito dell'esercito, dalla protezione civile e ambientale all'intervento in missioni militari internazionali per la soluzione dei conflitti e il contrasto del terrorismo. Un compito non privo di ambiguità, a partire dalla denominazione “missione di pace”, compiuta però da quelle stesse forze che, come mostra il museo, in passato muovevano la guerra. Per questo motivo, il museo di Dresda propone ai suoi visitatori sia la jeep danneggiata da una mina in Afghanistan nel 2004, che la giacca macchiata di Joschka Fischer, ex leader dei Grünen e ministro degli esteri, contestato nel 1999 con lanci di vernice rossa in occasione della partecipazione tedesca all'intervento nella Nato per la guerra in Kosovo.
Quello di Dresda è forse allora non tanto un ben armato museo militare d'ispirazione pacifista e pacificante, quanto un disarmante museo bellico al tempo delle missioni di pace.
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