Le elezioni parlamentari in Georgia dello scorso 26 ottobre sono state presentate dalla stampa internazionale come un momento decisivo per le aspirazioni europee del Paese. Ai seggi ha prevalso il partito di governo uscente, Sogno georgiano (Sg), un esito che mette in discussione il percorso verso l’Unione europea e fa temere derive autoritarie. Le tante violazioni registrate prima e durante la tornata elettorale hanno lasciato dubbi sulla validità del voto e le quattro principali forze di opposizione non hanno riconosciuto i risultati, rifiutandosi di prendere parte ai lavori del Parlamento e scendendo in piazza per chiedere nuove elezioni.
Con la discussa affermazione in questa ultima tornata elettorale prende avvio la quarta legislatura con Sogno georgiano al governo. Il partito è stato fondato nel 2012 da Bidzina Ivanishvili, un miliardario con una fortuna che corrisponde a circa un quarto del Pil del Paese.
Nei primi sette anni al governo della Georgia (dal 2012 al 2019), Sg era visto da gran parte degli osservatori occidentali come una forza normalizzatrice dopo gli anni di presidenza di Mikheil Saakashvili (2004-2012). Dell’ex presidente, salito al potere per conseguenza della Rivoluzione delle rose nel 2003, si ricordano infatti le riforme, ma anche i metodi draconiani con cui le stesse sono state portate avanti. In questo periodo iniziale, Sg si era reso poi protagonista di sviluppi importanti nel percorso della Georgia verso l’integrazione europea.
A partire dal 2019 il partito ha però cambiato corso, reprimendo violentemente movimenti di protesta, promuovendo iniziative legislative contro le organizzazioni non governative e la comunità Lgbtqia+ che hanno sollevato la questione di una svolta autoritaria. Con sempre maggior insistenza, Sg è stato accusato dai suoi detrattori di essere una forza filorussa, dal momento che Ivanishvili si è arricchito in Russia negli anni Novanta. In Georgia, l’astio per la Russia è onnipresente, oltre che per i tre secoli di dominio di Mosca sul Paese, anche per il sostegno militare ed economico russo all’Abcasia e all’Ossezia del Sud, due Repubbliche separatiste internazionalmente riconosciute come parte del territorio georgiano. Tali accuse sono quindi un anatema per qualsiasi forza politica.
Non ci sono legami comprovati tra Sogno georgiano e la Russia. Il tentativo di consolidamento autoritario e la crescente retorica antioccidentale finiscono però per allineare le posizioni del partito a Mosca
Volendo analizzare meglio la questione senza dare per scontata una lettura ormai molto diffusa anche sulla stampa internazionale, bisogna specificare che non ci sono legami comprovati tra Sg e la Russia e che la politica del partito non è apertamente filorussa. Il tentativo di consolidamento autoritario e la crescente retorica antioccidentale, nell’attuale contesto internazionale finiscono però per allineare le posizioni del partito a Mosca. L’ultima legislatura di Sg alla guida del Paese (iniziata nel 2020) è stata quella più polarizzata, tanto dagli eventi interni quanto da quelli esterni.
Dopo un lungo boicottaggio dei lavori del Parlamento da parte dell’opposizione, conclusosi solo nel 2021 grazie alla mediazione europea, nel 2022 a smuovere le acque della politica georgiana ci ha pensato la politica estera. Il governo di Tbilisi ha reagito piuttosto prudentemente all’invasione russa dell’Ucraina non unendosi al regime di sanzioni occidentali contro Mosca. A causa del già menzionato astio per la Russia, il supporto nel Paese caucasico per la causa ucraina è molto forte e l’inazione dell’esecutivo non è stata apprezzata da una parte consistente della popolazione. In risposta a queste critiche, Sg ha iniziato a promuoversi come il “partito della pace” che si deve opporre a un fantomatico “partito globale della guerra”, presunte forze interne ed esterne che vorrebbero trascinare la Georgia nel conflitto tra Occidente e Russia.
Lo scontro è proseguito nella primavera del 2023, quando Sg ha sostenuto un disegno di legge “sugli agenti stranieri” molto simile a un provvedimento adottato in Russia nel 2012, con conseguenze catastrofiche per la libertà di espressione (e per questo soprannominata “Legge Russa” dai suoi detrattori). Tuttavia, il partito aveva fatto male i suoi calcoli. Visto il rischio concreto che l’approvazione della legge avrebbe fatto deragliare i negoziati per l’ingresso della Georgia nell’Unione europea (che la vasta maggioranza della popolazione vede assai favorevolmente), i cittadini sono scesi in piazza, costringendo l’esecutivo a ritirare il disegno di legge.
Sembrava l’inizio di una ritrovata tranquillità. Il 14 dicembre 2023, la Georgia ha ottenuto dal Consiglio europeo l’agognato status di Paese candidato all’ingresso nell’Unione: la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, aveva sottolineato che la forza con cui i georgiani erano scesi in piazza si era rivelata decisiva per Bruxelles, nonostante la necessità di attuare alcune riforme.
Ma l’idillio è durato poco. Nella primavera del 2024, Sg ha riproposto un disegno di legge sostanzialmente uguale alla “legge russa” dell’anno precedente. E di nuovo i georgiani hanno reagito manifestando con cadenza quasi quotidiana, ad aprile e maggio. In questo ripetersi della storia, il governo non si è lasciato influenzare e, tra repressione delle proteste, minacce e attacchi ai dissidenti, ha portato a casa la legge il 28 maggio, superando anche il veto della presidente della Repubblica, Salome Zourabichvili.
L’approvazione del provvedimento (i cui effetti saranno visibili nei prossimi mesi) ha segnato un punto di rottura irreversibile. Da parte europea e americana sono arrivate critiche sempre più forti nei confronti della deriva autoritaria di Sg, con alcuni esponenti del partito che sono stati sanzionati da Washington. Da quel momento, durante la relativa quiete estiva, le elezioni hanno rappresentato l’appuntamento atteso come momento spartiacque per il futuro della Georgia.
Come sempre a prevalere nella politica georgiana sono soprattutto le personalità e la loro influenza, piuttosto che i programmi
Il 26 ottobre si è votato per rinnovare i 150 seggi del Parlamento con un sistema proporzionale puro e una soglia di sbarramento al 5%. Le forze in campo non si distinguevano usando criteri come destra e sinistra, conservatori e riformisti. Come sempre a prevalere nella politica georgiana sono soprattutto le personalità e la loro influenza, piuttosto che i programmi. Inoltre, la campagna elettorale si è focalizzata quasi esclusivamente sulla politica estera: le prospettive di integrazione europea e il timore che il Paese cada sotto l’influenza russa.
Con non poca retorica, Sg spingeva, come detto, sull’idea del “partito della pace”, in difesa della Georgia e dei cosiddetti valori tradizionali. Le quattro principali forze di opposizione si erano accordate su iniziativa della presidente Zourabichvili (il capo dello Stato in Georgia ha poteri simili a quello italiano e l’attuale presidente è da qualche anno in aperta collisione con l’esecutivo), puntando tutto sulla carta europea. In caso di vittoria tali gruppi politici avrebbero costituito un governo provvisorio per abolire le leggi liberticide volute da Sg, ristabilendo i rapporti con l’Unione europea e fissando nuove elezioni. Ma ai seggi, Sg ha prevalso con il 54% dei voti a fronte di un’affluenza del 59%, mentre le quattro forze di opposizione si sono attestate ciascuna intorno al 10%.
Le elezioni sono state segnate da forti irregolarità, tanto prima quanto durante il voto. Come ha messo in luce la missione di osservazione elettorale internazionale congiunta, “il giorno delle elezioni è stato generalmente ben organizzato dal punto di vista procedurale e gestito in modo ordinato, ma caratterizzato da un clima teso, con frequenti compromessi nella segretezza del voto e diverse incoerenze procedurali, oltre a segnalazioni di intimidazioni e pressioni sugli elettori”.
Prima delle elezioni Sg aveva usato l’apparato statale per spingere a votare (tantissime persone sono state contattate telefonicamente con inviti a votare Sg, che contenevano minacce più o meno velate, con esponenti del partito e delle forze di sicurezza che, nelle aree rurali, sono andati casa per casa). Nella giornata di voto sono emerse una serie di irregolarità con un’inchiesta del canale di opposizione Pirveli che ha evidenziato l’esistenza di una rete sistematica di compravendita di voti, in particolare nelle regioni più povere del Paese.
È difficile, forse impossibile, dire quanto di quel 54% di preferenze sia stato ottenuto da Sg grazie ai brogli. Gli istituti di ricerca statistica Edison Research e HarrisX hanno parlato di “discrepanze inspiegabili” (si parla di percentuali che vanno dall’8% al 13%), tra le preferenze ottenute da Sg e quelle previste dagli exit poll, ma le indagini sulle entità delle falsificazioni sono ancora in corso.
Le reazioni internazionali al voto in Georgia sono state ambivalenti. A Bruxelles si è deciso di prendere tempo. Tanto il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, quanto la Commissione europea hanno invocato chiarimenti sui brogli, chiedendo “un dialogo costruttivo e inclusivo” tra le forze politiche, ma anche aggiungendo che il Consiglio europeo di novembre “valuterà la situazione e definirà i prossimi passi nelle nostre relazioni con la Georgia”.
Più dura la reazione americana. In un comunicato stampa del segretario di Stato, Antony Blinken, si legge che “gli osservatori internazionali non hanno dichiarato i risultati liberi e corretti” e un invito alla leadership georgiana a rispettare lo Stato di diritto. Con la vittoria di Donald Trump, però, la posizione di Washington potrebbe cambiare. Dalla nuova amministrazione americana c’è da aspettarsi meno attenzione ai diritti umani e un certo allineamento ideologico con Sg (il Primo ministro georgiano Irakli Kobakhidze, complimentandosi con Trump, si è detto fiducioso che il nuovo presidente “promuoverà la pace a livello globale e nella nostra regione, oltre a garantire una ripresa nelle relazioni tra Stati Uniti e Georgia”). Ma al contempo, come sottolineato dal ricercatore Irakli Sirbiladze, a Washington si potrebbe guardare con fastidio all’accresciuta influenza cinese in Georgia in questi anni, soprattutto nell’ambito della costruzione di infrastrutture, ad esempio il progetto del porto di acque profonde ad Anaklia, sulla costa georgiana del Mar Nero.
La Russia ha accolto con favore la vittoria del partito di Ivanishvili, confermando quanto meno che l’attuale partito di governo è ben visto a Mosca. Al momento è però difficile prevedere quanto i rapporti con Tbilisi potranno rafforzarsi.
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