Ho scritto un manuale di letteratura per il triennio delle superiori e da qualche anno vado nelle scuole a presentarlo. Di solito parlo con gli insegnanti, ma a volte mi fanno parlare anche con gli studenti. Quando il numero è contenuto, è una bella esperienza. Gli studenti, se arriva qualcuno da fuori, sono abbastanza contenti, sia perché è una novità in una routine un po’ opprimente, sia perché, dato che non li conosco, non li giudicherò, non li vedrò mai più in vita mia, si sviluppa – talvolta, non sempre – un rapporto franco, libero: nella conversazione che segue la mia lezioncina succede che mi dicano cose che non hanno mai detto ai loro insegnanti, che mi facciano domande che fino a quel momento non hanno mai pensato di fare, o si sono vergognati di fare.
La letteratura, specie quella del Novecento, incrocia spesso questioni che riguardano il modo in cui gli esseri umani convivono, e cioè quel fascio di questioni che nella nomenclatura scolastica va sotto il nome di «educazione civica». Esempio: nel mio manuale di letteratura c’è un pezzo della Costituzione, precisamente i princìpi fondamentali, con a commento una pagina scritta appositamente da un collega giurista, Fulvio Cortese, e il famoso discorso del 1955 di Calamandrei su che cos’è la Costituzione. Ma anche al di là di questo caso specifico – cioè del piccolo arbitrio di prendere la Costituzione come un «pezzo di letteratura» – càpita ogni tanto che i brani antologici vengano scelti non solo per la loro qualità letteraria ma anche per il loro contenuto civico e morale. Nel mio manuale c’è molto Brancati perché è un grande scrittore ma anche perché dice delle cose interessanti sull’Italia degli anni del fascismo, e sulla vita meschina che si faceva in Sicilia negli anni Trenta e Quaranta; ci sono Ottieri e Volponi perché insegnano cos’è stata la fabbrica nell’Italia del pieno Novecento; ci sono molti saggisti che oltre ad essere dei buoni modelli di stile insegnano cose interessanti e utili sui costumi e i malcostumi degli italiani (Salvemini, Sciascia, Pasolini, Cederna eccetera). Quando parlo con gli studenti, piuttosto che infliggere loro altro Dante o altro Petrarca, scelgo questa letteratura civile. Tempo fa in un liceo di Catania mi è successa una cosa interessante. Avevo appena finito la mia lezione sui grandi scrittori e saggisti siciliani (l’Identità, l’Identità a scuola piace), e avevo chiesto se c’erano domande. In genere a questo punto cala il silenzio, finché un insegnante pietoso non rompe il ghiaccio. Invece quella volta, prima ancora che io finissi di formulare l’invito, ho visto una mano ben alzata in fondo alla sala. Una ragazza sui 16-17 anni. Mi sono rallegrato e stupito, e le ho ceduto la parola. Lei si è alzata e ha detto: «Ma se io volessi diventare una fascista intelligente, perché mai la scuola e lo Stato dovrebbero impedirmelo?».
C’è stato un momento di silenzio imbarazzato. Non di tutti. I compagni che erano accanto alla ragazza non erano stupiti, mi guardavano aspettando una risposta, evidentemente la cosa era stata preparata, loro erano stati informati, forse erano d’accordo con lei: anche loro volevano diventare, o volevano avere il diritto di diventare dei «fascisti intelligenti». Anch’io sono rimasto per qualche secondo in silenzio, e in quei secondi ho raccolto le idee e mi sono preparato a risponderle. Come prima cosa l’avrei ringraziata per aver rotto il ghiaccio con una domanda così sincera e intelligente. Poi… Poi non so bene che cosa le avrei detto. Forse che le società liberali si fondano, di fatto, sull’idea che ogni essere umano può diventare esattamente ciò che vuole diventare, purché la sua scelta non danneggi gli altri esseri umani: quindi anche una fascista intelligente. Considerata però la storia italiana del Novecento, la scuola e lo Stato (nella domanda le due istituzioni erano sovrapposte) avevano il dovere di avvertirla. La scuola del fatto che – alla luce di ciò che sappiamo essere successo negli anni Venti e Trenta – la libertà che lei stava reclamando le sarebbe stata negata nello Stato fascista che, se era conseguente, avrebbe voluto edificare; e lo Stato del fatto che esistono leggi che lasciano piena libertà ai singoli di diventare dei fascisti intelligenti, o anche dei fascisti stupidi, ma che vietano a questi fascisti intelligenti o stupidi di riunirsi in un’associazione o partito che si definisca fascista, e ciò per il timore che questa riunione porti un’altra volta a errori simili a quelli che si sono già prodotti una volta: l’uso della violenza contro i dissidenti, l’abolizione del pluralismo, la discriminazione nei confronti delle minoranze, la censura sulla stampa, il bavaglio – o il guinzaglio – imposto ai sindacati eccetera,
Uso i verbi al condizionale perché prima che avessi il tempo di aprire bocca, un’insegnante, o forse la preside, si è alzata in piedi ed è esplosa in questo flusso di coscienza: «Ma come è possibile fascista intelligente non c’è intelligenza nel fascismo la violenza che avete studiato nel programma le leggi sugli ebrei la guerra ma queste provocazioni la vogliamo smettere?». La ragazza, aspirante fascista intelligente, non ha replicato.
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