L’attenzione, sia da parte dei politici sia dei media, alla relazione tenuta dal presidente dell’Associazione nazionale magistrati Rodolfo Sabelli si è concentrata esclusivamente sulla denuncia delle indebite intrusioni della politica e dei politici, cui indubbiamente Sabelli ha dedicato lo spazio maggiore. Tuttavia, la relazione ha avuto un passaggio di grande rilievo sul funzionamento della giustizia, che è stato del tutto ignorato. In quel breve, trascurato passaggio si è affermato che il sistema giudiziario e il lavoro dei magistrati è sovraccaricato anche, se non soprattutto, a causa di leggi scritte male o di norme che mancano.
In altri termini, leggi scritte male e talvolta in contraddizione tra di loro non solo sono un incentivo agli eccessi burocratici – con costi, anche economici, per lo Stato e per i cittadini. Sono anche una causa diretta della lentezza della giustizia. Gli esempi riguardano temi che toccano da vicino le libertà personali e i diritti delle persone a vedersi riconoscere le proprie relazioni.
Sul versante delle cattive leggi, nella relazione è stata citata la Legge 40 sulla riproduzione assistita, che il legislatore obnubilato da visioni rigidamente ideologiche ha scritto talmente male, introducendo norme così illiberali e persino lesive della salute delle donne, da provocare una serie di ricorsi giudiziari sia in Italia sia presso la Corte europea, con l’esito di un progressivo smantellamento. Per quanto riguarda le norme mancanti, che aprono a infiniti contenziosi, sono state citate le questione del fine vita (ovvero il testamento biologico e il diritto a por fine alle cure) e il riconoscimento delle famiglie di fatto, che spesso sono tali perché non possono accedere a uno statuto giuridico(si pensi alle coppie e ai genitori omosessuali). Si potrebbe aggiungere una normativa sullo scioglimento del matrimonio che impone un doppio passaggio dai tribunali.
Leggi scritte male e norme mancanti non aggravano solo il lavoro della magistratura, incidendo anche, direttamente o indirettamente, sul diritto di ciascuno ad avere una giustizia ragionevolmente rapida. Hanno anche almeno altri due importanti effetti negativi.
Il primo è un allargamento del ruolo e delle responsabilità della magistratura dall’applicazione all’interpretazione delle norme, fino alla produzione normativa stessa, di fatto se non di principio. Si pensi alle sentenze che hanno, opportunamente, allargato il diritto al ricongiungimento famigliare ai partner omosessuali che in altri Paesi, ma non nel nostro, hanno un rapporto giuridicamente riconosciuto. Il secondo è la necessità che impone di ricorrere al giudice per dirimere questioni di violazione della libertà o di mancanza di diritti provocate dallo stesso sistema normativo. In altri termini, in Italia più che altrove si è spesso costretti a ricorrere al giudice per vedersi riconoscere diritti non rispetto ad altre persone, ma rispetto all’assetto normativo così come scaturisce dal lavoro dei legislatori, ovvero del Parlamento. Ciò, ovviamente, da un lato affatica la vita e le relazioni quotidiane delle persone, costringendole ad una giuridificazione dei comportamenti e dei rapporti al di là del ragionevole. Dall’altro produce disuguaglianze tra chi ha gli strumenti culturali e finanziari per accedere al giudizio e chi ne è privo.
In tutti i Paesi la giurisprudenza ha un importante ruolo nella attuazione concreta della legge, mentre in Italia ha sempre più un ruolo di supplenza, con tutti i rischi del caso. Ciò è paradossale, viste le periodiche denunce sull’ingerenza della magistratura che provengono proprio da quei legislatori che non sono capaci di fare il proprio lavoro, per incompetenza, omissione, o pura ideologia. Sarebbe opportuno che questa denuncia del presidente Sabelli non passasse sotto silenzio, soffocata, ancora una volta, dagli interessi in conflitto dei politici.
Riproduzione riservata