Quattro morti, oltre a più di 50 arresti, è il bilancio provvisorio di una giornata che avrebbe dovuto certificare la decisiva vittoria democratica alle elezioni per il Senato in Georgia, l’elezione di Biden e Harris e l’avvio del nuovo Congresso. Una giornata che invece ha rappresentato un salto di qualità nello scontro politico, dimostrando, una volta di più, quanto la democrazia americana possa essere fragile e a rischio.
La presidenza Trump si inaugurò, quattro anni fa, con un discorso sullo American carnage, sulla carneficina di una classe media bianca a opera di forze economiche più o meno oscure con la complicità dei democratici. Rischia di terminare con la carneficina di istituzioni che sembrano non reggere più di fronte a un «re folle», come ormai molti commentatori definiscono Trump. Persino il suo sodale, Rudolph Murdoch, attraverso il «New York Post», lo ha invitato ad abbandonare l’interpretazione di un re Lear farsesco più che tragico se non fosse che riesce, come si è visto anche ieri, a trascinare il consenso di minoranze, certo, ma che hanno dietro i quasi 73 milioni di voti presi nelle elezioni dello scorso novembre.
Ancora una volta Trump si è assunto la responsabilità di alimentare il caos, le convinzioni cospirazioniste di chi, più che vivere una realtà alternativa, tenta di piegarla verso ciò che ritiene «verità di per sé evidenti». Al direttore di «The Atlantic», Jeffrey Goldberg, uno dei manifestanti radunatasi davanti al Congresso, ha gridato: «Arrenditi se credi in Gesù, arrenditi se credi in Donald Trump».
Sarebbe sbagliato liquidare questa frase, così come i cartelli con la scritta «Pelosi satana» come espressioni freak di estremisti cospirazionisti ed esponenti della destra armata. Ovvio: fra coloro che sono penetrati nelle aule e negli uffici del Congresso ci sono anche quelli. Hanno peraltro l’appoggio di esponenti repubblicani appena eletti, come nel caso di un deputato della West Virginia, entrato assieme agli altri manifestanti per filmare e postare quello che stava accadendo. Ma per molti di loro era la dimostrazione del vero spirito americano, di un «popolo» che si sente defraudato da elezioni considerate corrotte e rubate, come d’altronde Trump ha ribadito anche quando ha invitato i suoi sostenitori a «tornare a casa». In fondo, non è la Dichiarazione di indipendenza il documento che legittima il diritto a resistere a un potere tirannico? Non è questo il messaggio che i manifestanti vestiti con abiti settecenteschi volevano trasmettere? Le immagini dei «patrioti» che si fanno immortalare seduti sullo scranno del presidente del Senato o della Camera verranno percepite, dall’America profonda che crede in Trump, come la riappropriazione delle istituzioni da parte del popolo sovrano, come l’espressione autentica di quello spirito di libertà che affonda nelle radici della lotta rivoluzionaria. Perché stupirsi, ha detto una manifestante bardata con la bandiera americana, non è così che questo Paese è stato fondato, non è così che i nostri Padri fondatori hanno travolto l’impero britannico?
La certificazione dell’elezione di Joe Biden e di Kamala Harris può e deve essere letta come la capacità del sistema di superare la crisi, ma rimane il vulnus rappresentato da un presidente uscente che ha dimostrato fino a che punto si possono mettere in tensione le istituzioni americane e quanto forti siano le aporie del sistema.
Le divisioni che hanno portato per la prima volta dal 1812 a vedere violato l’edificio del Congresso rimangono inalterate perché non sono state alimentate solo da Trump, ma da un Partito repubblicano che ha la responsabilità di aver avallato una presidenza anti-sistema come quella uscente e corteggiato razzismo, suprematismo ed estremismo armato. E se Mike Pence ha avuto la decenza di comprendere che le norme costituzionali non potevano essere stravolte – contravvenendo peraltro a uno dei principi del Partito repubblicano, quello della centralità degli Stati nell’assetto federale –, altri come Ted Cruz e un manipolo di senatori e di deputati che hanno presentato mozioni per contestare il voto in Georgia, Arizona e Pennsylvania, continuano a solleticare gli istinti profondi della base trumpiana, con l’opportunismo miope di chi crede in questo modo di utilizzare il capitale politico e di consenso lasciato in eredità dal quasi ormai ex presidente.
L’interrogativo cruciale, adesso, è se i repubblicani, spaventati da quello che è successo, saranno in grado di fare un passo indietro ed esprimere qualcosa di più di frasi di circostanza per lavarsi la coscienza.
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