La legittima scelta di entrare nell’agone politico operata dal professor Monti, realizzata mediante una sorta di candidatura indiretta, ha generato più di una conseguenza di non piccolo peso. Le competenze tecniche, il profilo professionale e l’accreditamento internazionale, preesistenti alla sua nomina, sono state le credenziali che ne hanno fatto un presidente del Consiglio cui una “strana maggioranza” ha delegato il compito di tirar fuori l’Italia da una gravissima emergenza. Il “baratro” sul cui orlo il Paese si era venuto a trovare dipendeva per intero dal totale venir meno a livello internazionale della fiducia nei confronti di un Paese che si era affidato a un governo assolutamente impresentabile e che non appariva in grado di cambiare la rotta. Non si può vivere con un debito pubblico come quello italiano se la comunità internazionale, europea e non, non si fida più di chi è chiamato a governare, fra le altre cose, uno dei più pesanti debiti esteri del mondo.

In buona misura il compito affidato a Monti è riuscito. La comunità internazionale, non solo europea, ha cominciato a ritenere, forse con un po’ di meraviglia (anche nostra), che il Paese poteva ritornare a riscuotere una sufficiente fiducia. La decisione del professor Monti di prendere in mano la situazione italiana da uomo politico ha cambiato la situazione, in un contesto che stava già cambiando. Tutte le forze politiche, salvo quelle che nell’ultimo Parlamento erano rappresentate da Casini, avevano messo in chiaro che il percorso per raggiungere la presidenza del Consiglio questa volta sarebbe stato quello solito: la competizione elettorale. Il centrosinistra, con le sue primarie, non poteva essere più esplicito. Per il Pdl, solo le anime candide potevano pensare a un’abdicazione di Berlusconi. Quanto alle altre forze politiche, non presentavano di fatto candidati destinati a vincere. Neppure il Movimento 5 Stelle, perché Grillo non si candiderà finché il Parlamento non sarà diventato un piccolo social network.

Prima conseguenza: Mario Monti è diventato un competitor. Deve battere gli altri leader. La sua comunicazione era magistrale, pedagogica, esortativa: le medicine sono amare, si sa, e bisogna inghiottirle; e poi, anche questo si sa, “il medico pietoso fa la piaga verminosa”. La sua comunicazione, che conserva sempre le suddette tonalità, è diventata innanzitutto e soprattutto comunicazione politica. Alcune delle prime sortite, che non voglio discutere, sono state raggelanti, proprio a causa di questo radicale cambiamento.

Seconda conseguenza: se si prende atto della realtà, appare evidente che, dopo le primarie vinte da Bersani e dopo lo scatenamento di un Berlusconi in chiara crisi di astinenza (come diceva Arturo Parisi “è difficile vincere le elezioni con le televisioni puntate alla tempia”), il professore non ha alcuna possibilità di vincere le elezioni, né alla Camera né al Senato.

Terza e paradossale conseguenza: Monti deve sperare che Bersani, quantomeno, “non convinca”. Pier Ferdinando Casini ha chiarito da par suo la situazione, affermando che Bersani può scordarsi la presidenza del Consiglio, se non vince anche al Senato. A me sembra non superfluo ricordare che Casini, con Calderoli e Berlusconi, è il coautore della “porcata”, cioè dell’attuale legge elettorale (per inciso, l’onorevole Follini, segretario dell’Udc, che era stato completamente scavalcato dall’allora presidente della Camera, come conseguenza si dimise). “Porcata” costruita per azzoppare la prevista vittoria di Prodi, impedendogli di vincere al Senato, nonostante un risultato elettorale numericamente vincente: ne conseguì il risultato per cui era stata progettata.

Questa è la conclusione paradossale: Monti, se vuole avere la possibilità di proseguire la propria azione di governo (e completare l’Agenda) anche senza un mandato politico suffragato da un successo elettorale, deve rendere impossibile nella nuova legislatura la governabilità del Paese, impedendo la vittoria del centrosinistra al Senato. La sua strategia è necessariamente identica a quella di Berlusconi (anche se le motivazioni di quest’ultimo sono completamente extrapolitiche). La personalità, lo stile e le competenze del professor Monti rendono però onesta, anche se paradossale, la sua strategia: essa infatti sta tutta dentro la politica. E insieme a mille altre cose, questo fatto lo distingue in modo irrevocabile dal suo predecessore. È la realtà, sono le logiche delle forze in campo che rendono obbligata questa sua strategia (il cui esito ha per Casini un soave profumo di successo).

Considerazione finale: qualora l’ingovernabilità venisse ottenuta dalle necessitate logiche di Berlusconi (ripeto, extrapolitiche) e di Monti, il risultato sarà diverso da quello atteso. Dopo le elezioni nessuno potrà invocare, per dirla alla romana “aridatece er professore!”. Il professore non ci sarà più. La realtà lo avrà trasformato in un politico che siede in Parlamento. Notevole personalità, ma non eccezionale caratura politica. Anche per le ragioni, illustrate con garbo per me irraggiungibile, da Michele Salvati.