Come abbiamo visto, il Covid ha cambiato moltissimo la nostra società, ma soprattutto lo ha fatto in maniera duratura: all’inizio della pandemia speravamo che “mettere in pausa” la nostra vita con un lockdown di due o tre mesi fosse sufficiente per tornare alla quotidianità cui eravamo abituati, ma più passa il tempo più ci rendiamo conto di quanto ormai il mondo sia diverso da prima.

Pensiamo, per esempio, a come è cambiato il nostro rapporto con la comicità: è un tema che mi riguarda molto da vicino perché sono un comico, vivo a Londra da diversi anni e faccio spettacoli sia in inglese sia in italiano, nel Regno Unito e in Europa.

Quando si parla di comicità, bisogna tenere presente che si tratta di un termine molto ampio che racchiude forme diverse, dai classici sketch in cui uno o più attori interpretano dei personaggi al monologo personale, in cui l’artista parla di se stesso senza un’apparente distinzione fra la persona reale e quella sul palco: questa tradizione di monologhi comici – stand up comedy – ha avuto negli ultimi anni una grande ripresa in Italia, in parte trainata dai numerosi spettacoli di comici americani e inglesi visibili su Netflix.

Al di là della forma in cui viene presentata, la comicità cambia molto a seconda dell’argomento che il comico sceglie e del modo in cui decide di parlarne: si può per esempio giocare con gli stereotipi oppure avere un umorismo surreale, affrontare temi leggeri o ironizzare su concetti più complessi come la paura della morte o delle malattie, basare una battuta su un gioco di parole oppure inserire le battute all’interno di aneddoti più lunghi e strutturati.

Quando la pandemia è arrivata, il primo effetto che ha avuto sul variegato mondo della comicità è stato l’annullamento di tutti gli spettacoli dal vivo

Quando la pandemia è arrivata, il primo effetto che ha avuto sul variegato mondo della comicità è stato l’annullamento di tutti gli spettacoli dal vivo. Si potrebbe parlare a lungo del danno economico per chi lavora in questo settore, che spesso ha ricevuto pochi e tardivi aiuti dai vari governi (in Italia, per esempio, ci vollero tre mesi prima che l’allora presidente del Consiglio Conte approvasse misure a favore dei “nostri artisti che ci fanno tanto divertire e ci fanno tanto appassionare”), ma preferisco raccontare le conseguenze che questi mutamenti hanno avuto sul rapporto fra la comicità e il suo pubblico.

Con la cancellazione di ogni evento dal vivo e l’obbligo per tutti di restare letteralmente chiusi in casa, la televisione e Internet sono diventati il principale strumento di intrattenimento e di informazione. Il pubblico, anche solo per cercare un’alternativa agli angoscianti bollettini quotidiani sull’andamento della pandemia, ha cercato contenuti più leggeri e si è riversato sulle piattaforme streaming e on-demand (da Netflix a Prime Video, da Disney+ a RaiPlay), che hanno il vantaggio di offrire un catalogo ricco e disponibile a ogni ora del giorno. Non a caso il programma più visto di sempre della piattaforma Prime Video per l’Italia è stato LOL: ispirato a un format giapponese, in cui dieci comici si sfidano a chi ride per ultimo, il programma è andato in onda per la prima volta proprio durante la pandemia, con un cast composto da volti noti ed emergenti. Il grande successo di questo show è stato probabilmente dovuto anche al fatto che milioni di italiani cercavano qualcosa che li aiutasse a evadere dalla realtà quotidiana.

I social media si sono trasformati nell’unico palco possibile in attesa che riaprissero i teatri; un palco virtuale senza confini di spazio e di tempo, ma affollatissimo, in cui farsi notare è molto difficile

Per una strana ironia infatti, proprio mentre i comici non potevano più fare il loro lavoro dal vivo, c’era grande richiesta da parte del pubblico per contenuti nuovi e originali e così tutti gli artisti hanno dovuto dedicare maggiore attenzione ai social media. In questo senso le generazioni più giovani sono state forse avvantaggiate, in quanto naturali fruitori di piattaforme come Instagram e TikTok: dando libero sfogo alla creatività, molti giovani artisti hanno realizzato parodie, creato sketch o inventato personaggi che potessero raccontare in maniera ironica lo strano tempo sospeso che stavamo vivendo, fra Dpcm, canzoni dai balconi, complicazioni burocratiche, didattica a distanza ecc.

Per altri comici, più abituati al palco che a registrare brevi video sullo schermo dello smartphone, la transizione non è stata così facile e naturale e io mi considero in questo secondo gruppo. I social media, che venivano usati dalla generazione over 35 come una vetrina dove pubblicizzare eventi o postare foto di serate, si sono trasformati nell’unico palco possibile in attesa che riaprissero i teatri. A differenza di quello classico, su questo palco virtuale non ci sono confini né di spazio né di tempo: si possono davvero raggiungere, almeno in teoria, persone in ogni angolo del mondo ed è possibile postare un video a qualunque ora del giorno o della notte. È però un luogo affollatissimo, senza un confine netto fra spettatori e creatori di contenuti, e riuscire a farsi notare, nel “rumore” di migliaia di video simultanei, non è per nulla semplice.

Come è accaduto per molti lavori, anche nella comicità ci si è poi adattati allo smart working e le serate dal vivo sono state sostituite dalle serate virtuali su Zoom. In questi eventi, in cui in cambio del biglietto si riceve il link per collegarsi, uno o più comici intrattengono da casa propria un pubblico che li segue a sua volta da casa propria. La principale differenza con le serate tradizionali è data proprio da questa frammentarietà del pubblico. In un locale, infatti, tutti sono seduti vicini in penombra, chi sta sul palco di solito non riesce a distinguere oltre le prime file e tutto contribuisce a creare un senso di intimità che favorisce la connessione fra chi parla e chi ascolta, indispensabile per la buona riuscita di uno spettacolo. In una serata su Zoom, invece, parte del pubblico ha la webcam o anche il microfono spento e quelli che sono visibili si trovano magari in città diverse. Inoltre, il comico può vedere non solo le loro reazioni, ma anche le pareti delle loro stanze, se per caso hanno un gatto o un cane, se ascoltano con attenzione o se a metà si alzano per andare in un’altra stanza… insomma, in genere sono serate più difficili del solito, ma nonostante queste complicazioni e le incertezze dovute alla connessione Internet (che potrebbe interrompersi sul più bello, magari proprio prima di una battuta) è spesso possibile ricreare una sorta di strana intimità, con persone sconosciute che assistono e partecipano nello stesso momento a qualcosa di unico.

La pandemia ha dunque aggiunto una dimensione online al concetto di intrattenimento e anche se ormai gli spettacoli in presenza sono nuovamente possibili, non credo che si tornerà al mondo di prima: anche i comici meno tecnologici come me si stanno adattando all’esigenza di creare contenuti per un pubblico apparentemente impalpabile ma presente, che si trova dietro lo schermo di uno smartphone o davanti a una webcam su Zoom. È un futuro ibrido, che merita di essere esplorato e che credo ci accompagnerà ancora a lungo.