La lettera di Benedetto XVI in merito al suo coinvolgimento in alcuni casi di gestione lacunosa di sacerdoti della diocesi di Monaco accusati di abusi sessuali su minori durante il tempo del suo episcopato, e al memoriale da lui inviato allo studio legale che ha condotto le indagini su mandato della stessa diocesi oggi guidata dal cardinale Marx, potrebbe essere derubricata come l’attestato spirituale di un credente ultra novantenne. A questa, che potrebbe essere l’interpretazione più benevola del testo, si oppongono però alcune ragioni oggettive.
L’anziano prelato è stata una delle figure chiave nel post-concilio cattolico; sicuramente quella che ha avuto nelle sue mani il potere maggiore, fino a raggiungere il soglio pontificio. Il cerchio di collaboratori, che ha lavorato per lui sia nella stesura del memoriale inviato allo studio legale bavarese sia alla scrittura della lettera, rappresenta un sentire diffuso presente nella Chiesa cattolica in materia di abusi sessuali avvenuti al suo interno per mano di personale ecclesiastico. Infine, l’ampia eco mediatica, e i giudizi contrastanti, che ha seguito la pubblicazione della lettera (avvenuta lunedì 8 febbraio).
Inevitabile che l’introspezione spirituale di Benedetto XVI diventi questione pubblica, con tutte le distonie legate al contrasto dei generi. La prima, inadeguata anche alla materia che si affronta (quella degli abusi sessuali nella Chiesa cattolica) – quando a firmarla in calce è colui che è stato per decenni ai vertici dell’apparato vaticano.
Sembra mancare qualsiasi sensibilità per le vittime di abusi sessuali nella Chiesa quali lettori e lettrici di questa lettera: se ci fosse stata, essa non sarebbe stata scritta
E qui inizia a emergere quella mentalità dei collaboratori di Ratzinger in cui si rispecchia un ampio sentire ecclesiastico: ossia, ricondurre alla dimensione spirituale il coinvolgimento, diretto o indiretto, in azioni criminali. Improvvisamente, l’istanza della coscienza diventa dirimente in una torsione che fa di un reato una colpa morale da confessare davanti a Dio – e a Dio solo. Anzi, non occorre neanche confessarla in specifico, perché in Gesù Dio si è già fatto carico di quella «grandissima colpa» soffrendola vicariamente. Ed è questo che alleggerisce la coscienza dell’ex papa davanti all’imminente incontro con il giudizio di Dio: e sente così dischiudersi il perdono di Dio davanti alla genericità di una colpa senza responsabilità. In questo etereo spirituale manca qualsiasi menzione concreta della colpa; mancano le storie di vita che sono state segnate da quella colpa; mancano i segni di un pentimento sincero per la responsabilità personale, proprio perché essa è del tutto assente dal testo.
Manca qualsiasi sensibilità per le vittime di abusi sessuali nella Chiesa quali lettori e lettrici di questa lettera: se ci fosse stata, essa non sarebbe stata scritta.
Il Ratzinger che appare in controluce in questa pagina è un Ratzinger assolto da ogni colpa – e, insieme a lui, la Chiesa che rappresenta. Ammesso che possa essere così davanti a Dio, tutto questo non toglie nulla al fatto che il crimine resta – come resta la responsabilità per la connivenza o inadeguata gestione di esso. E rimangono, soprattutto, i corpi devastati dalla violenza tollerata nella Chiesa cattolica. Per il colpevole/peccatore c’è il perdono eterno, per le vittime nessuna consolazione e pacificazione corrispondente.
Violenza si aggiunge a violenza. E vi si arriva perché il potere nella Chiesa non è capace di dire: “era comunque mia responsabilità personale che tutto ciò non avvenisse, e invece è accaduto”
Violenza si aggiunge a violenza – e sono sicuro che questa non era l’intenzione di Ratzinger, ma a tanto si è arrivati. E vi si arriva perché il potere nella Chiesa non è capace di dire: «era comunque mia responsabilità personale che tutto ciò non avvenisse, e invece è accaduto». Poco importa se si era o meno presenti a una riunione; se si conoscevano i dettagli; se si avevano tutti gli strumenti necessari per far fronte alla cosa. Da un vescovo, da un prefetto di una congregazione romana, da un papa, ci si attende una presa in carico della responsabilità equivalente al potere che esercita – in ogni caso.
E ci attendiamo qualcosa del genere anche dai vescovi della nostra Chiesa italiana, perché anche tra noi è accaduto l’irreparabile – quello che non dovrebbe mai succedere nella comunità dei discepoli di Gesù. La nostra Chiesa non può permettersi che a indagare sia chi appartiene alla cerchia dei possibili colpevoli e dei certi responsabili. Mentre i vescovi tergiversano sulla creazione di una Commissione che elabori un rapporto degno sugli abusi sessuali nella Chiesa italiana, dobbiamo sperare (e fare pressioni) che lo affidino a mani esterne, indipendenti – per la loro credibilità e per il bene della Chiesa italiana.
Riproduzione riservata