La città non è solo un’azienda… e sicuramente non è un condomino che richieda soltanto un buon amministratore. Una grande città, che si avvia a diventare una città metropolitana, una delle città più importanti dell’intero continente, è un luogo politico e richiede come sindaco chi si sente e si vive come politico. Come portatore di una visione e di idee trasformative. La contesa per le primarie va letta in questo contesto. Nel corso dei due ultimi decenni l’importanza delle politiche locali è andata crescendo anche se non sono parimente aumentate le competenze e le risorse assegnate alle grandi città.

Ma le città sono sempre di più un’agorà dei bisogni e dei diritti dei cittadini e di chi chiede cittadinanza: sono il test finale, la cartina di tornasole, la prova del nove, delle grandi politiche nazionali ed europee. E anche il laboratorio nel quale queste politiche si affermano e sono proposte come modello.

Il modello Milano della Giunta Pisapia è stata un’esperienza importante anche per la politica nazionale: non solo per la trasparenza, per l’uso onesto ed efficiente del bene pubblico, ma anche per la capacità di sollecitare una partecipazione democratica dei cittadini, una cittadinanza attiva. Un patrimonio in sé, attraverso tante microesperienze che si sono svolte nei quartieri della città, avvalendosi del lavoro volontario di tanti cittadini. Il modello Milano, l’idea che la città sia una polis e non solo un’azienda, va proseguito e sviluppato.

Non si tratta quindi solo di far vincere il Pd, quale che sia il rappresentante che il partito esprime, e non meraviglia che, a livello nazionale, si sia formata la convinzione che Beppe Sala sarebbe stato un candidato vincente. Le sue competenze amministrative e la sua notorietà alla guida di una esperienza di successo, l’Expo, lo predisponevano a questo ruolo. Ma è lecito dubitare che egli abbia la visione e la passione politica per indirizzare un’esperienza che va ben oltre la buona amministrazione, non avendo mai in passato dato prova di entrambe: forse, per “promuoverlo”, sarebbe stato opportuno pensare ad altri ruoli. Niente è solo buona amministrazione, in una grande città.

Lasciamo pur da parte i temi più spinosi e nuovi, come quelli legati all’immigrazione, ma anche nei campi più tradizionali delle competenze comunali – il traffico, gli asili, l’assistenza, l’edilizia, l’ambiente urbano – ci sono scelte politiche da compiere e non si tratta solo di efficienza.

L’efficienza serve, naturalmente, ma è uno strumento che può essere legato a diverse finalità. Sala ha dimostrato di essere un amministratore efficace (se anche efficiente non sappiamo, si vedrà dalla discussione sui consuntivi Expo) e sicuramente è il più noto tra i tre candidati alle primarie. Ma efficacia amministrativa e notorietà sono caratteri sufficienti a far di lui un buon sindaco per i cittadini e potenziali cittadini milanesi? Un sindaco che voglia e sappia proseguire l’esperienza dell’amministrazione Pisapia? Per dare un’idea dei problemi cui penso, mi riferisco a tre esempi.

Il primo è una grande esperienza politico-amministrativa, quella del Great London Council, da studiare soprattutto per chi avrà il compito di definire l’area metropolitana milanese, un’esperienza durata più di vent’anni e chiusa da Margaret Thatcher nel 1986. Essa ha prodotto politiche urbane e sociali innovative in grado di sfidare gli indirizzi prevalenti nelle politiche nazionali. Gli altri due esempi riguardano modi innovativi di analizzare i problemi urbani.

Quello di Saskia Sassen, che ha usato il termine e il concetto di città globali in riferimento alle megalopoli del nord e del sud del mondo. Le città globali sono spesso l’epicentro di processi innovativi, ma anche i luoghi della maggiore ricchezza e maggiore povertà, città fortezza e zone di degrado.

Più vicine all’esperienza milanese sono le analisi di Guido Martinotti: la popolazione delle grandi città è costituita da soggetti diversi che sono cambiati nel corso del tempo. Dopo i cittadini che vivono, lavorano o pendolano, cresce sempre la quota dei meri city users, fruitori della città, che in essa non vivono, non pagano le tasse non votano. A quale popolazione si devono indirizzare le politiche urbane? Expo, tipicamente, è stata indirizzata ai fruitori esterni, e questa non è affatto una critica.

Finisco con un problema impossibile da ignorare. Nel microcosmo urbano si manifestano con maggiore visibilità i termini dello “scontro di civiltà” emersi dopo il 9/11 del 2001; mi riferisco a fatti recentissimi, il capodanno di Colonia e altre città tedesche. Questi hanno già fatto discutere commentatori come Elisabeth Badinter in una importante intervista su "La Stampa" e Luca Ricolfi che le ha riprese sul "Sole - 24 Ore": L’Europa dopo Colonia. L’immigrazione e il brusco risveglio. Le polemiche si stanno ancora trascinando in Germania e coinvolgono la politica dell’accoglienza e dell’asilo, e soprattutto la sicurezza per le donne nell’uso della città.

Sappiamo che la grande maggioranza delle violenze avviene tra le mura domestiche e a opera di famigliari; ma casi come quello di Colonia hanno una forte influenza sulle politiche nazionali di accoglienza e integrazione, e una buona politica cittadina può avere un ruolo importante per prevenirli. Non è “politica questa”, politica ai suoi massimi livelli?

 

[Questo articolo è uscito su http://www.arcipelagomilano.org/]