Nell’aprile 2008, a ridosso della visita di Benedetto XVI negli Stati Uniti, alcuni commentatori si erano lanciati nella definizione di George W. Bush come “il primo presidente cattolico degli Stati Uniti”. Le vicinanze tra la dottrina cattolica e il presidente della guerra in Irak sembravano, allora, fare premio sulle radicali differenze di visione del mondo tra la Casa Bianca dello “scontro di civiltà” e un cattolicesimo sempre più globale.
È passato solo un anno e questa lettura ideologico-religiosa della presidenza Bush sembra venire da un altro mondo, alla luce dei nuovi rapporti tra Obama e cattolicesimo. Infatti, l’incontro di Obama con Benedetto XVI in Vaticano, il 10 luglio 2009, è il risultato di una crescente capacità della Casa Bianca democratica di parlare alla chiesa cattolica.
In questi ultimi mesi l’amministrazione Obama ha rilanciato i rapporti col cattolicesimo americano, rovesciando l’ostracismo riservatogli – fin dalla campagna elettorale - da una parte dei vescovi americani e dal cattolicesimo più neo-conservatore, bianco e repubblicano degli Stati Uniti. Il discorso tenuto il 17 maggio all’Università di Notre Dame sull’aborto è stato un successo per Obama e per coloro che lo hanno invitato (Notre Dame, l’università cattolica per eccellenza negli USA, sta raccogliendo cifre record di donazioni), mentre è stata una sonora sconfitta per quanti avevano puntato tutto sul sabotaggio dell’appuntamento. La nomina del nuovo ambasciatore presso la Santa Sede - un docente di teologia, laico e padre di famiglia, nato a Cuba dopo la rivoluzione castrista, e impegnato nell’inculturazione della cultura latinoamericana e caraibica nel cattolicesimo nordamericano - ha mostrato la capacità della Casa Bianca di comprendere il mutamento in corso nel corpo del cattolicesimo americano. Infine, il discorso del 4 giugno da Il Cairo ha confermato – a quanti ancora non fossero convinti - la differenza essenziale tra le aberrazioni ideologico-religiose dello “scontro di civiltà” dell’amministrazione Bush e la raffinata teologia politica che anima la visione del mondo dell’amministrazione Obama. Tutti questi passi hanno rafforzato l’interesse della Santa Sede per il presidente Obama, che già godeva del sostegno della maggioranza del cattolicesimo americano. I toni moderati o talvolta addirittura elogiativi della stampa vaticana hanno spiazzato (in America come in Italia) i commentatori di scuola neo-con e hanno rappresentato un chiaro segnale dell’atteggiamento di apertura della Santa Sede verso il nuovo presidente.
L’incontro tra Benedetto XVI e il presidente americano marca un punto importante non solo nel rapporto tra Obama e Vaticano, ma anche tra amministrazione democratica e cattolicesimo americano. Da una parte, le convergenze tra chiesa cattolica e presidenza Obama sul piano internazionale (il Medio Oriente, Cuba) ma anche interno (la riforma sanitaria, l’immigrazione, la disciplina dei mercati finanziari) isolano i settori del cattolicesimo americano più aggressivi verso l’amministrazione democratica. Dall’altra parte, l’enciclica sociale appena pubblicata da Benedetto XVI, Caritas in veritate, afferma alcuni principi di solidarietà sociale e di ridistribuzione della ricchezza che il presidente americano condivide, ma non può - dal punto di vista politico - proclamare con la serenità di un’enciclica papale. Questi punti di convergenza dicono relativamente poco di Benedetto XVI, ma dicono molto di Obama.
Il primo e unico presidente cattolico degli Stati Uniti è fino ad oggi John Fitzgerald Kennedy, che fu eletto anche grazie alla scelta politica di privatizzare il più possibile la propria fede religiosa. Obama ha invece seguito un percorso totalmente diverso. Alcuni teologi americani hanno evocato il concilio Vaticano II nel descrivere lo stile dialogico e la visione del mondo del presidente Obama. Nato nel 1961, il cosmopolitismo di Obama è figlio di quell’epoca di post-concilio che fu giudicato un evento epocale dalla penna (non certo sospetta di catto-comunismo) del politologo di Harvard Samuel P. Huntington. L’esperienza di “community organizer” nella Chicago devastata dalla deindustrializzazione ha formato Obama non meno dell’infanzia trascorsa tra Hawaii e Indonesia e degli studi di legge ad Harvard. A Chicago Obama aveva incontrato il cattolicesimo sociale del leader della chiesa americana post-conciliare, il cardinale Bernardin (allora vescovo di Chicago), impegnato a cercare un “common ground” e attivo sul fronte dell’aborto non meno che sulla pace e la lotta alla povertà. È eccessivo definire Obama “il primo presidente cattolico”: ma non è azzardato vedere in un presidente cristiano ma non cattolico come Obama una “cattolicità”, cioè la capacità di articolare alfabeto morale, istanze religiose e progetto politico all’interno della complessità del mondo contemporaneo e delle sue autodefinizioni identitarie e valoriali. D’altra parte, non è un mistero che la maggioranza dei cattolici americani si senta più vicina all’agenda di Obama che a quella di Benedetto XVI.
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