Allora il presente passa proprio in un lampo, se il più grande compositore di oggi ci ha lasciati. Hans Werner Henze aveva una testa tonda e perfettamente calva. Al centro due occhi vivi e brillanti, non saprei dirne bene il colore: azzurro, grigio ghiaccio, venati di smeraldo. Dentro milioni di idee. Un panorama interiore gremito di simboli e di forme intelligenti, che trovava una rima baciata nella vista così piena di bellezza e proporzione, custodita dietro il cancello della Leprara.
Henze è morto il 27 ottobre a Dresda, per puro caso. O forse no: a ottantasei anni aveva preso un aereo per andare ad ascoltare la propria musica, eseguita in Germania. Quella patria che aveva abbandonato cinquant'anni fa, scappando dalla guerra e dall'omofobia, per trovare rifugio nella quiete selvatica di Ischia e poi nel sogno, costruito giorno su giorno in collina, qualche manciata di chilometri da Roma, nei pressi di Marino.
La Leprara era, ed è, la casa di Hans. Specchio puro della sua visione fiabesca e rigorosa al tempo stesso, dall'eleganza impeccabile ma capace di piccoli segreti sognatori. Circondata da un alto muro a proteggere una flora di pensieri preziosi, foderata da un prato in cui seminare anni di silenzio, abitata da una riservatezza millenaria pazientemente appresa lungo la direttrice dell'Appia Antica, Henze viveva lì, ogni giorno, la musica. Una musica che è sempre affresco e mai pezzo, racconto di avvenimenti veri seppur immaginati, non astratta decorazione ma espressione umana fatta di delicatissima timbrica, improvvisamente ritorta in serpenti di note, di grasso spessore orchestrale. Suoni generosi d'un Picasso della musica, che getta colori e poi li tornisce sulle linee dei fraseggi, forgiando architetture che ripercorrono le anse del cuore, frugano nelle spire delle viscere, risalendo boccheggianti su, per le gincane della mente.
Ha sempre avuto bisogno di grandi tele Henze, lui che era pure pittore. Per scrivere musica gli bastavano quelle. Nei lunghi mesi in cui svernava sull'isola di Lamu con Fausto, compagno fondamentale e fedele, più che a comporre s'impegnava a dipingere. Ma i suoi quadri nascondevano quasi sempre appunti di musica, rapprendendo l'idea grafica d'una nuova partitura di cui prevedeva sin dall'inizio il percorso e la fine, gestualizzata in disegni coloratissimi e naïf, esotici come le fantasticherie d’un bambino. Poi la scioglieva per esteso nel rito del travaso sul codice pentagrammato, per magia tramutata in composizioni complesse e molto organizzate.
Scriveva nel suo studio al primo piano e quando si poggiava l'upupa distoglieva lo sguardo. Uccello del mito egizio divenuto opera nel 2003 e già molto prima fu assurto a simbolo della villa, sventolando nella bandiera issata di fronte alla sua finestra. Si svegliava all'alba e iniziava a comporre molto presto: è probabile che lo abbia fatto ogni giorno della sua vita, almeno da quando ha potuto considerarsi qual era, compositore. Scrivere come vivere. La scrittura lo ha tenuto qui fino a ieri. E fino a ieri c'è stata lotta grande tra la mente curiosa, traboccante progetti, e il corpo; ormai stanco persino di nutrirsi. D'altronde non ne sentiva più il bisogno: lo dissetava il mare dei suoi suoni, così pronti a intercettare correnti imprevedibili, tanto da rifuggire qualsiasi definizione, chiamandosi essenzialmente fuori dal tempo.
Né moderno né tradizionale, né innovativo né già sentito, serenamente distante dall’estabilishment musicale, qualsiasi etichetta si scollava di dosso alla foggia di Hans Werner Henze. Così come lo stile, non consequenziale ma mai casuale, di ogni dettaglio della Leprara: residenza onirica e pure fermamente storica, colma di raffinatezze attuali e di allusioni passate, dove le pietre romane collimano nell'incastro con i quadri di Vespignani, ed è forte l’ascolto verticale della storia nei suoi strati. Tradotti nell’opera estrema di Phaedra, dichiarazione d'amor sacro per la mitologia di un dandy radicale, dal gusto raffinato fino all'affilato, ma pure sensibile al carisma genuino delle persone semplici.
Riflessi tra etica ed estetica che si allungano anche sul vasto oliveto. Laddove coltivava con buona costanza l'otium dei padri e si ritirava in avide letture, l’immagine iniziale di Venus und Adonis si ritrova proprio in quella veduta: nella presenza dell'ulivo più anziano e amato, che Hans rimirava con soddisfazione e che oggi, stanco anch'esso, viene sorretto da una robusta gruccia.
Oltre l'orto si nascondono alcuni segreti: due grotte ipogee dove Henze organizzò un pranzo per il settantesimo compleanno, salutato dall’esecuzione della Kammermusik con l'Ensemble modern; e poi in fondo, giusto al confine della proprietà e al riparo da occhi indiscreti, fece costruire la piscina, dove, nella bella stagione si rinfrescava con un bagno quotidiano. Tanti ospiti hanno soggiornato alla Leprara. Da Paul Sacher al presidente della Repubblica Tedesca, dall’amica diletta Ingeborg Bachmann a Luchino Visconti, accolti presso l'appartamento del pianterreno, o nel soggiorno dalle antiche colonne, abbracciato da una coppia di Steinway. Al tavolo quadrato della sala da pranzo, apparecchiato con tovaglie pregiate e piatti dipinti da un artigiano pugliese, hanno trovato posto i sovrintendenti e gli artisti più importanti, e anche giovani talenti, che spesso dilettavano il Maestro con nuove dediche o sue esecuzioni. Nessuno si è mai seduto alla sinistra della porta vetrata panoramica, lì era la sedia di Hans. Un'altra seduta gli era particolarmente cara, la poltrona delle lunghe chiacchierate, al caminetto: nelle pause senza fretta in cui sceglieva le parole, la sua voce era colmata dagli schiocchi tra le fibre del legno ardente; finché anche il fuoco si taceva.
Quanti differenti segni di pausa nella casa dei suoni di Hans. Lui che generosamente accoglieva i suoi invitati al piano basso, a pochissimi concedeva di salire la scala. Sopra era la sua privata isola del vuoto intorno, del dentro pieno. Non poteva scrivere se non immerso in quella qualità di silenzio, della distanza olimpica dal rumore, che invece sin da ragazzo gli cagionava sofferenza fisica.
Da quella collina, quando ascoltava i racconti di chiasso della vita romana, auspicava di costruire una cinta ancora più alta a difesa della pace erbosa, spettinata appena da Aristeo e Belmonte, i levrieri inglesi figli d'una dinastia residente alla Leprara sin dalla sua creazione, o dai passi assorti di chi camminando osserva il Monte Cavo e i Castelli Romani, e da sotto i pini scruta Roma.
Domani questa villa continuerà a essere musica. Rinascerà, in un progetto che guarda al futuro e che oggi non può essere rivelato. Un giorno l'ennesimo gioco segreto di Henze prenderà imprevedibilmente forma. Esatto finale annotato nell'ultimo disegno di Hans.
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