Si dà per scontato – anche su queste pagine – che nella discussione sulla liceità della gravidanza per altri (d’ora in avanti, Gpa) e sulle unioni civili ci siano interessi in conflitto. Secondo alcuni, l’interesse delle coppie gay e lesbiche ad avere figli biologici si contrapporrebbe all’interesse delle donne a non essere preda di sfruttamento o di mercificazione del proprio corpo. Secondo altri, anche l’interesse dei figli nati da Gpa, ed eventualmente ceduti, sarebbe in conflitto con l’interesse delle coppie che sollecitano queste gravidanze: in questo caso, la Gpa lederebbe l’interesse delle madri e dei loro nascituri.
Vorrei concentrarmi qui sulla prima idea, cioè sulla tesi secondo cui la Gpa vada contro gli interessi delle donne, e quindi – assumendo che la legge sulle unioni civili in discussione in questi giorni incentivi o faciliti il ricorso alla Gpa (un assunto non dimostrato, però) – questa legge in qualche modo tuteli gli interessi di una minoranza ledendo gli interessi di una maggioranza, le donne.
Ciò che trovo sospetto è la tesi implicita di chi la pensa così, la tesi secondo cui la Gpa lederebbe esclusivamente gli interessi delle donne. L’argomentazione più diffusa contro la Gpa è che essa implica un rapporto di sfruttamento di donne povere, e che in nessun caso chi sceglie di vendere una gestazione si possa dire libera di farlo: si tratta di donne costrette dalle circostanze a vendere una parte preziosa di sé, della propria vita, del proprio corpo. Queste donne limitano la propria libertà (per esempio sottoponendosi a cure mediche o a particolari regimi sanitari) e subiscono una trasformazione del proprio corpo, che non è scelta, ma è imposta dal bisogno.
Sono però molte le persone che, per bisogno, limitano la propria libertà e vendono parti preziose di sé, della propria vita e del proprio corpo. Per esempio, donne, uomini e bambini sono sfruttati nel grande circuito internazionale della prostituzione – e nulla possono leggi inevitabilmente nazionali contro un mercato globalizzato come questo.
Si potrebbe obiettare che questo tipo di sfruttamento non implica trasformazioni del corpo e trattamenti medici coatti. Ma, in realtà, nel mercato della prostituzione il corpo viene ovviamente sfruttato e modellato secondo certi standard. Anche in questo caso si pongono questioni difficili sulla libertà e sul bisogno: a casi ovvi di individui che si prostituiscono perché non hanno altra scelta si affiancano casi più dubbi, lungo infinite sfumature.
L’argomentazione dello sfruttamento, dunque, se è giusta, non si può limitare alla Gpa. Chi si oppone alla Gpa dovrebbe anche mostrarsi sensibile alla questione dello sfruttamento della prostituzione – e alle complicità complessive dei Paesi occidentali, se non altro in termini di omesso controllo. Non mi pare che questo avvenga spesso e con eguale clamore. Inoltre, l’argomentazione dello sfruttamento nulla dice contro Gpa dove non ci sia passaggio di denaro.
Si potrebbe dire, però, che in realtà il motivo per cui la Gpa non è ammissibile sta nella relazione che si crea fra la madre e il nascituro durante la gestazione. Questa relazione viene interrotta dopo la nascita, e ciò lede l’interesse della madre – e, immagino, anche del bambino. E questa relazione è appannaggio esclusivo delle madri.
A prima vista, quest’argomentazione limita il discorso alle donne, perché ovviamente gli uomini non possono avere questo tipo di relazioni con i nascituri. Ma vedo comunque dei problemi in questa posizione. Questa relazione continua immutata dopo la gravidanza? La relazione fra chi ha condotto la gestazione e il nato è necessariamente sui generis e irriducibile alla relazione di chi cura il bambino dal momento della nascita? Mi sembra che con la nascita, specialmente in presenza di una doppia figura genitoriale, necessariamente qualcosa cambi, e che le relazioni con i bimbi nati siano meno esclusivamente materne – nel qual caso, chi prende con sé il bambino sarebbe anch’egli o anch’ella un termine della relazione. E, ovviamente, non si capisce perché certe relazioni debbano essere esclusive (perché la madre surrogata, specialmente se non c’è stato passaggio di denaro, dovrebbe cessare del tutto i rapporti con il figlio biologico?). E chissà se ci sono altre relazioni egualmente intime fra esseri umani e prodotti del loro corpo e della loro mente: che dire ad esempio, su tutt’altro fronte, della relazione fra opera e autore? Si tratta di una relazione intima, che non esclude però il diritto dell’autore di percepire denaro da chi fruisce della sua opera.
Se queste argomentazioni non sono sufficienti, rimangono forse solo gli interessi e i diritti dei nascituri da considerare. Si dice spesso che i nati da Gpa corrono dei rischi fisici e psicologici. Bisognerebbe considerare la letteratura scientifica, che probabilmente non dà risposte definitive. Ma, certo, sostenere che il benessere dei nascituri deve limitare sempre le scelte riproduttive non è indolore: questo modo di vedere varrebbe sempre, anche nel caso di gravidanze ordinarie. Se le Gpa vanno evitate per il bene del nascituro, allora perché non si dovrebbero censurare donne che intraprendono gravidanze normali per comportamenti lievemente rischiosi (come continuare a lavorare, o rifiutarsi di prendere certi farmaci, e così via). Lo spazio della libertà riproduttiva può diventare ridottissimo, se si adottano posizioni del genere.
Sembra insomma che nulla si guadagni dall’isolare le donne e la Gpa da un contesto più ampio, dove la condizione delle madri può avere analogie e similarità con altre situazioni. Nulla si guadagna nel campo della riflessione teorica, certamente. Ma nulla si guadagna neanche sul piano politico, se ci si limita solo a registrare chi fa un passo indietro e chi fa un passo avanti nella regolazione di presunti conflitti di interesse.
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