L’uso politico dell’architettura nella Turchia di Erdoğan torna a essere un tema estremamente attuale: nel giorno dell’ottavo anniversario delle proteste di Gezi Park, il leader turco ha inaugurato la moschea di piazza Taksim. Il 28 maggio 2021, migliaia di fedeli all’Islam hanno pregato nella piazza simbolo della Turchia laica. Un altro atto, colmo di contenuto simbolico, è stata la riconversione a moschea di Santa Sofia a Sultanahmet pochi mesi fa. Da qui scaturisce una riflessione (tema centrale del mio ultimo libro, L'oro della Turchia): la storia di un luogo rispecchia e descrive la storia del popolo che lo abita. Questo concetto lo aveva capito molto bene Atatürk e ora è la volta di Erdoğan che ne coglie in pieno le potenzialità. Se si osservano con attenzione gli spazi pubblici all’interno di una città, il loro utilizzo e la loro composizione architettonica e urbanistica, si possono cogliere trasformazioni decisive.

Questi cambiamenti sono il risultato dell’evolversi della storia di una società: palazzi, strade o piazze si costituiscono come l'oggetto di una trasfigurazione simbolica da parte degli individui che ne attribuiscono valori. In questo senso, l’urbanistica è lo studio che, più di altri, aiuta a rileggere la storia, i suoi cambiamenti politici e sociali all’interno di una determinata società. Partendo da questo presupposto, Piazza Taksim e Gezi Park, ma anche Sultanahmet, risultano essere luoghi fondamentali all’interno del tessuto urbano di Istanbul. Mustafa Kemal aveva compreso come fosse necessario riformare la città per arrivare a riformare la società. Non bastava garantire il diritto di voto alle donne se poi queste venivano escluse dagli spazi comuni dove generalmente si forma l'opinione politica. Cambiare l'assetto urbano di una città comporta inevitabilmente il cambiamento delle abitudini dei suoi cittadini. Erdoğan fa esattamente la stessa cosa, ma di segno opposto.

Cambiare l'assetto urbano di una città comporta inevitabilmente il cambiamento delle abitudini dei suoi cittadini. Erdoğan fa esattamente la stessa cosa, ma di segno opposto

Oggi, attraversando piazza Taksim e Gezi Park, si possono scorgere giovani che si incontrano, leggono un libro o semplicemente passeggiano ma è più difficile individuare qualcuno che consumi alcolici in pubblico. Moderni e mastodontici alberghi si affacciano sulla piazza, e allo stesso tempo si possono attraversare mercatini o incontrare venditori ambulanti di prodotti tipici turchi. La presenza di una nuova moschea simboleggia il reinserimento della religione nella sfera pubblica della società turca. L’Islam, «materialmente» eliminato da questa piazza per lungo tempo, ora si ritaglia uno spazio al suo interno, come all’interno della nazione. L’idea di Recep Tayyip Erdoğan di demolire l’Akm, il Centro culturale Atatürk e di costruire al suo posto il nuovo Teatro dell’Opera non è una scelta architettonica e urbanistica astratta, ma vuole essere un chiaro messaggio che illustri quale storia si debba rievocare e quale dimenticare.

Il governo Akp ha una visione strategica legata ai luoghi-simbolo della metropoli sul Bosforo con due componenti principali: una basata sulle politiche neoliberiste e di trasformazione della città, la seconda riguarda le inclinazioni ideologiche islamiste del governo. Entrambe queste componenti trovano le loro radici nelle politiche dell'allora primo ministro Turgut Özal, tese all'integrazione con il mercato globale. Entrambe necessarie per la propaganda politica del leader turco. Una visione che si è materializzata nei progetti sopra citati a piazza Taksim: la pedonalizzazione della piazza con la riorganizzazione del traffico sotterraneo, la demolizione del Centro culturale Atatürk e la costruzione di una moschea. Questi progetti, voluti fortemente dall’Akp, vedono il centro città come uno spazio unicamente dedito al consumo; e dove i luoghi pubblici sono rigorosamente controllati. Si dà una connotazione politica anche al tipo di architettura presente, tanto da farla diventare un marchio che serve a pubblicizzare lo spazio pubblico. Le parole d'ordine devono essere: consumo, merce, turismo, rimanendo sempre legati ai valori islamico-conservatori della Turchia. Lo scopo finale del leader turco rimane quello di vendere una metropoli e al tempo stesso controllarla più possibile.

Molti luoghi pubblici, teatro di incontri e interazione tra i cittadini, hanno cambiato connotazione o sono stati demoliti: la nuova Istanbul ha molti sostenitori e altrettanti oppositori

Non solo piazza Taksim. Beyoğlu, principalmente İstiklal Caddesi, sta attraversando una nuova fase di trasformazione, caratterizzata da una forte commercializzazione e da politiche urbane complessivamente orientate al mercato. Importanti edifici sono stati ristrutturati, con scarso rispetto del patrimonio storico, per essere venduti a marchi commerciali e multinazionali. Oppure trasformati in centri commerciali che pullulano un po’ ovunque in città. Molti luoghi pubblici, teatro in passato di incontri e interazione tra i cittadini, hanno cambiato connotazione o sono stati demoliti. La nuova Istanbul, in turco yeni İstanbul, ha senz’altro molti sostenitori e altrettanti oppositori. Senza dubbio, questa nuova grandiosità fa a pugni con lo spirito della città, immortalato da Ara Güler, famoso e popolare fotografo turco morto all'età di novant'anni. Le immagini di Güler -che oggi si possono ammirare nel museo a lui dedicato nel quartiere Bomonti- ci riportano alla Istanbul degli anni Cinquanta e Sessanta: barchette di legno di pescatori attraccate al ponte di Galata; carretti trainati da cavalli; case di legno fatiscenti… quartieri irriconoscibili se si paragonano a come sono oggi. A prescindere dagli apprezzamenti o dalle critiche, le sue parole, pronunciate nel 2017, aprono a profonde riflessioni: «A quel tempo – dice il fotografo – nessuno poteva immaginare quello che sarebbe successo, né i pescatori, né i marinai, né la gente di Kumkapı. Io stesso non avrei mai potuto immaginare che queste fotografie in bianco e nero sarebbero diventate l’unica testimonianza di un mondo ormai andato perduto».

Le linee d’opposizione cominciarono a unirsi contro la mercificazione neoliberista dello spazio urbano e dell'ambiente solo dopo Gezi Park. Sulla scia delle proteste, iniziò a trapelare una visione più ampia e completa della mercificazione dello spazio e della politica economica volute dall’Akp. Emerse una rete, ampia e articolata, delle imprese favorite da Erdoğan nel campo dell’edilizia. La gentrificazione urbana, i megaprogetti e la distruzione ambientale diventarono temi dibattuti in ambiti diversi, non più di nicchia. Le proteste di Gezi Park furono, di fatto, il prodotto della completa urbanizzazione della politica voluta dal governo Erdoğan, inclusi la devastante cementificazione portata avanti da Erdoğan da quando è al potere, i numerosi mega-progetti realizzati e quelli ancora in cantiere (un esempio su tutti, il famigerato «kanal Istanbul»). Il presidente turco ha quindi utilizzato l'architettura a fini politici in una società, soprattutto nelle grandi città, in cui alte barriere sociali e architettoniche sono all'ordine del giorno. Oggi più che mai se si vuole capire la Turchia è dunque necessario cogliere le trasformazioni fisiche – di forte portata simbolica – che hanno travolto il Paese della mezzaluna negli ultimi vent’anni.